Il paradosso vagale: una soluzione polivagale

Questo recente articolo The vagal paradox: A polyvagal solution del dr. Stephen Porges, psichiatra e neuroscienziato, creatore della teoria polivagale, è particolarmente interessante perché offre uno sguardo aggiornato ai principi fondamentali della teoria polivagale e una risposta ben argomentata alle principali critiche che vengono mosse alla teoria polivagale e che nascono spesso da un fraintendimento dei principi fondanti la teoria.

Pubblicato sulla rivista scientifica Comprehensive Psychoneuroendocrinology, questo articolo chiarisce infatti i fondamenti scientifici della teoria in modo molto chiaro e fornisce dati e argomenti volti a chiarire  potenziali malintesi. 

Di seguito riporto una traduzione libera in italiano dell’articolo originale, di cui consiglio la lettura, perchè è un a sintesi molto chiara, dettagliata e aggiornata, della Teoria Polivagale.
Buona lettura!

Punti salienti

  • Lo stato autonomico funziona come una variabile interveniente.
  • Una gerarchia di risposta ordinata filogeneticamente che regola l’adattamento dello stato autonomico ad ambienti sicuri, pericolosi e potenzialmente letali.
  • In risposta a una sfida, il SNA cambia stato coerentemente con il principio jacksoniano di dissoluzione.
  • La migrazione ventrale dei neuroni cardioinibitori porta a un circuito vagale ventrale che supporta un sistema integrato di ingaggio sociale.
  • Il rilevamento automatico e inconscio del rischio (cioè la neurocezione) innesca lo stato autonomico adattivo per ottimizzare la sopravvivenza.

Il paradosso vagale: una soluzione polivagale

Stephen W. Porges

Comprehensive Psychoneuroendocrinology, Volume 16, November 2023, 100200

https://doi.org/10.1016/j.cpnec.2023.100200

Abstract

Sebbene esista una letteratura coerente che documenta che le vie cardioinibitorie vagali supportano le funzioni emostatiche, un’altra letteratura, citata meno frequentemente, porta dati a supporto del fatto che le vie cardioinibitorie vagali siano implicate nel compromettere la sopravvivenza nell’uomo e negli altri mammiferi. Quest’ultima evenienza è solitamente associata a reazioni di minaccia, stress cronico e condizioni cliniche potenzialmente letali come l’ipossia. Risolvere questo “paradosso vagale” negli studi condotti nell’unità di terapia intensiva neonatale è servita da motivatore per la teoria polivagale (PVT).
Il paradosso è risolto nel momento in cui si riconosce che le diverse funzioni delle fibre cardioinibitorie vagali originano in due aree, anatomicamente distinguibili, del tronco encefalico. Un percorso ha origine in un’area dorsale, nota come nucleo motore dorsale del vago,  e l’altro in un’area ventrale del tronco cerebrale nota come nucleo ambiguo. A differenza dei mammiferi, insomma, nei vertebrati ancestrali, da cui si sono evoluti i mammiferi, le fibre vagali cardioinibitrici hanno origine principalmente nei nucleo motore dorsale del vago. Pertanto, nei mammiferi il nervo vago è “poli” vagale perché ne contiene due vie efferenti distinte. La biologia dello sviluppo e dell’evoluzione identifica una migrazione ventrale di fibre cardioinibitorie vagali che culmina in un circuito integrato che è stato denominato complesso vagale ventrale. Questo complesso consiste nella comunicazione interneuronale del vago ventrale con i nuclei sorgente coinvolti nella regolazione dei muscoli striati della testa e del viso attraverso particolari vie efferenti viscerali. Questo sistema integrato consente la coordinazione della regolazione vagale del cuore con la suzione, la deglutizione, la respirazione e la vocalizzazione e costituisce la base di un sistema di coinvolgimento sociale che consente alla socialità di essere un potente neuromodulatore risultante stati calmi che promuovono la funzione omeostatica. Queste caratteristiche biocomportamentali, dipendenti dalla maturazione del complesso vagale ventrale, possono essere compromesse nei neonati prematuri.

La biologia dello sviluppo ci informa che nel mammifero immaturo (ad es. feto, neonato pretermine) il vago ventrale non è completamente funzionante e la mielinizzazione non è completata; questo profilo neuroanatomico può potenziare l’impatto delle vie cardioinibitorie vagali che si originano nel nucleo motore dorsale del vago. Questa vulnerabilità è confermata clinicamente nelle reazioni potenzialmente letali di apnea e bradicardia nei neonati umani pretermine, che sono ipoteticamente mediate dalle vie vagali dorsali cronotrope. La ricerca neuroanatomica documenta che la distribuzione dei neuroni cardioinibitori, che rappresentano questi due distinti nuclei di origine vagale, variano tra i mammiferi e cambiano durante lo sviluppo iniziale. Spiegando la soluzione del “paradosso vagale” nell’essere umano pretermine, l’articolo evidenzia le funzioni fisiologiche cardioinibitorie dei due nuclei sorgente vagali e fornisce la base scientifica per la verifica delle ipotesi generate dalla Teoria polivagale.

1. Introduzione

La presentazione iniziale della Teoria Polivagale (PVT) proponeva l’uso dell’evoluzione come principio organizzatore per tessere una narrazione descrittiva del viaggio filogenetico dei vertebrati verso la socialità e la co-regolazione; un viaggio che ha documentato un cambiamento nella struttura anatomica e nella funzione del sistema nervoso autonomo (SNA) e il modo in cui questi cambiamenti sono stati coinvolti nelle caratteristiche biocomportamentali dei mammiferi che consentono la co-regolazione (ad esempio, le interazioni madre-bambino) per sostenere la salute e la socialità. L’intento era quello di utilizzare la base scientifica della teoria come un ponte per trasformare gli ampi scismi mente-cervello-corpo nella scienza in una prospettiva più unificante che incorporasse una comprensione dello stato autonomo come piattaforma neurale che potrebbe supportare sia la socialità e sentimenti di sicurezza sia le strategie difensive e i sentimenti di minaccia.

Man mano che la teoria guadagnava terreno nel mondo scientifico, attraversando diverse discipline e collegando la scienza di base con applicazioni cliniche ed esperienze personali, il compito di proporre una presentazione sintetica della teoria divenne più difficile. Poiché la teoria dipende da molteplici differenti discipline, ciascuna con la propria letteratura specifica, domande di ricerca, metodologia e orientamento teorico, il compito pragmatico della comunicazione si è caricato di complessità. Ciò ha creato una sfida intellettuale per affermare accuratamente i principi della teoria e per trasmetterne il fondamento scientifico in costrutti accessibili e indipendenti dal background accademico e dalla professione.

Il problema è ulteriormente esacerbato dal momento che i professionisti che rappresentano aree applicate (ad esempio, medicina, istruzione, economia e psicoterapia) si sono interessati alla teoria e spesso trasmettono elementi della teoria ai loro destinatari di riferimento, molti dei quali non sono istruiti nelle scienze fondamentali su base scientifica, da cui PVT dipende. Il risultato è stato una democratizzazione dell’informazione sui social media in cui gli individui possono diventare influencer senza che le loro credenziali accademiche siano controllate e senza che la credibilità delle loro affermazioni sia determinata dal processo storico di revisione accademica. Sfortunatamente, data la complessità della teoria, le basi della teoria non sono sempre state trasmesse accuratamente e le incomprensioni possono diventare disinformazione nel mondo digitale. Questo articolo è un tentativo di chiarire la teoria e correggere potenziali malintesi documentando il fondamento scientifico su cui si basa la teoria.

2. Background: il vago e il paradosso vagale

Il vago è un nervo cranico che esce dal tronco cerebrale e viaggia verso diversi organi del corpo umano. È la via neurale primaria del sistema nervoso parasimpatico. Funzionalmente, il vago è un condotto bidirezionale tra il tronco cerebrale e gli organi viscerali. Sebbene generalmente ci concentriamo sulle funzioni motorie del vago e su come le vie motorie regolano il cuore e l’intestino, il vago è principalmente un nervo sensoriale con circa l’80% delle sue fibre che inviano informazioni dai visceri al cervello. Il restante 20% forma percorsi motori che consentono ai circuiti cerebrali di cambiare dinamicamente e, a volte, radicalmente la nostra fisiologia, con alcuni di questi cambiamenti che si verificano in pochi secondi. Ad esempio, le vie motorie vagali possono far battere più lentamente il nostro cuore e stimolare il nostro intestino. Di questo 20%, solo una piccola percentuale è mielinizzata. È interessante notare che le fibre motorie dominano la discussione sul ruolo del vago nella regolazione del cuore nelle scienze biocomportamentali e biomediche.

Nel suo stato tonico, il vago funziona come un freno per il pacemaker del cuore. Quando il freno viene rimosso, il tono vagale inferiore consente al cuore di battere più velocemente. Funzionalmente, le vie vagali,
indipendentemente dal nucleo di origine del tronco cerebrale (cioè dorsale o ventrale) al cuore sono inibitorie e rallentano la frequenza cardiaca. Tuttavia, le azioni cardioinibitore vagale non sono esclusivamente cronotrope (influenzando la frequenza cardiaca), ma possono avere un profondo impatto inotropo sulla contrattilità cardiaca, con conseguenti influenze sulla frequenza cardiaca attraverso variazioni della pressione sanguigna (cioè barocettori). Sebbene l’influenza della funzione vagale inotropa è complessa e non del tutto compresa, studi recenti documentano importanti influenze delle fibre vagali inotrope cardioinibitrici originanti dal nucleo motore dorsale del vago [5]1, [6], [7], [8], [9].

Questi studi descrivono la funzione protettiva di queste vie nello stato calmo così come le interazioni con le influenze inotrope simpatiche. Inoltre, la letteratura documenta procedure sperimentali durante le quali l’impatto inotropico del vago, la riduzione della contrattilità, avviene indipendentemente dalle variazioni della frequenza cardiaca. In generale, l’effetto sinergico del rallentamento della frequenza cardiaca e della riduzione della contrattilità viene vissuto come uno stato di calma. Pertanto, si ritiene spesso che la funzione vagale sia un meccanismo “antistress”. Tuttavia, esiste un’altra letteratura che contraddice gli attributi positivi del vago e collega i meccanismi vagali a risposte potenzialmente letali, come la bradicardia (e potenzialmente l’ipotensione attraverso una ridotta contrattilità) che potrebbe portare a morte neurogena improvvisa (ad esempio, riferimenti in [10]). Fondamentalmente, lo stesso nervo, il vago, proposto come sistema di sostegno alla salute e antistress, può fermare il cuore, ridurre la contrattilità e abbassare la pressione sanguigna in maniera sufficiente da avviare la sincope e, se prolungato, può portare alla morte (ad esempio, Rif. [11,12]).  Convergenti modelli di conseguenze sia positive che negative dell’eccitazione vagale, che sono stati osservati nell’intestino, sono stati descritti anche essi come un “paradosso vagale” [13].  
Poiché l’input vagale diretto all’intestino avviene principalmente attraverso il vago dorsale, l’esplorazione dei collegamenti tra la regolazione vagale ventrale del cuore e la disfunzione intestinale può fornire informazioni sulle influenze inotrope del vago dorsale sul cuore.

3. La regolazione del SNA: antagonista o gerarchica o entrambe?

Praticamente in ogni testo di anatomia o fisiologia, il SNA è descritto come un sistema antagonista accoppiato costituito da due componenti opposte. I testi generalmente descrivono un sistema nervoso simpatico che supporta reazioni mobilizzate alla minaccia (cioè lotta e fuga) e un sistema nervoso parasimpatico che ha la capacità di inibire questi processi debilitanti e metabolicamente costosi. Il risultato netto dell’utilizzo di questo modello può essere descritto come un equilibrio tra questi sistemi antagonisti (ad esempio, Rif.[14]).

Sia nel campo clinico che in quello della ricerca, termini come “equilibrio autonomico” sono stati utilizzati con l’aspettativa che un equilibrio autonomico ottimale sarebbe più parasimpatico (cioè più vagale). Ciò verrebbe espresso come un comportamento più calmo e meno reattivo. Quando il tono vagale è depresso o ritirato, diventiamo tesi e reattivi e sperimentiamo “stress”. Questa spiegazione sintetica del ruolo che il SNA e soprattutto il nervo vago hanno nella regolazione del nostro stato biocomportamentale è solo parzialmente corretta. La storia di come il vago influenza la salute e il comportamento è più complessa. Tuttavia, è vero che la maggior parte dei nostri organi viscerali hanno connessioni neurali sia dal sistema nervoso parasimpatico che da quello simpatico e che la maggior parte delle fibre neurali parasimpatiche viaggiano attraverso il vago.

L’utilità di questo modello prevalente viene meno nelle indagini cliniche su neonati umani ad alto rischio in cui si presume che i meccanismi vagali supportino e compromettano la salute. Le intuizioni provenienti dal neonato ad alto rischio possono favorire una riconcettualizzazione che mette a confronto i meccanismi vagali che supportano le funzioni omeostatiche con quelli che supportano la fisiologia della minaccia, specialmente durante le sfide acute legate alla sopravvivenza. Esiste un’ampia letteratura che documenta che l’ampiezza dell’aritmia sinusale respiratoria (RSA), un valido indice del tono vagale cardiaco [17],
è correlato a risultati clinici positivi (ad es., Rif. [18.]). Al contrario, si presume che anche la bradicardia massiva, clinicamente pericolosa per la vita, sia mediata dal vago. Inoltre, i neonati prematuri con bradicardia frequente, che erano ad alto rischio di gravi complicanze, avevano in modo affidabile RSA di ampiezza bassa (cioè modelli di frequenza cardiaca con una frequenza battito per battito relativamente costante) prima di un evento bradicardico [19], [20], [21]. 

Questa contraddizione nell’interpretazione dei meccanismi vagali costituisce la base del paradosso vagale che pone la domanda: come potrebbe il vago essere allo stesso tempo protettivo, quando si esprimeva come RSA, e pericoloso per la vita, quando si esprimeva come bradicardia e apnea?

L’identificazione dei meccanismi vagali alla base del paradosso si è evoluta nella “Teoria Polivagale”. Nello sviluppare la teoria, sono stati identificati l’anatomia, lo sviluppo, la storia evolutiva e la funzione dei due sistemi vagali: un sistema vagale che media bradicardia e apnea e l’altro sistema vagale che media RSA. Un sistema era potenzialmente letale, mentre l’altro sistema era protettivo. Le due vie vagali hanno avuto origine in aree diverse del tronco encefalico. Attraverso lo studio dell’anatomia comparata, si può dedurre che i due circuiti vagali si sono evoluti in sequenza (vedi Rif. [5]). Questa sequenza è stata ulteriormente osservata durante lo sviluppo dei mammiferi (vedi Rif. [22]. Fondamentalmente, le ipotesi guidate dalla PVT sono legate alla documentazione secondo cui il sistema nervoso autonomo dei mammiferi ha una gerarchia incorporata di reattività autonomica basata sulla filogenesi che si riflette nello sviluppo embriologico. Questo fatto è diventato un principio fondamentale su cui è possibile testare le ipotesi basate sul PVT. Questa enfasi sulla gerarchia è focalizzata sulla reattività del sistema nervoso autonomo e non preclude gli stati omeostatici ottimali che comportano un sinergismo e un equilibrio funzionale tra le influenze parasimpatiche e simpatiche. Pertanto, a seconda dello stato del vago ventrale, la regolazione autonomica può funzionare in modo gerarchico o antagonistico.

4. Distinzioni dipendenti dal Sistema Nervoso Autonomo tra mammiferi e rettili

Gli indizi anatomici della Teoria Polivagale, in particolare quelli legati alla connessione e comunicazione sociale, possono essere identificati indagando le tre caratteristiche che frequentemente vengono utilizzate per distinguere i mammiferi dai rettili.

Innanzitutto, i mammiferi, come suggerisce il nome, hanno ghiandole mammarie, che forniscono il latte per nutrire i loro piccoli. Questo fatto ci informa che alla nascita la prole dei mammiferi può funzionalmente essere allattata, ovvero può succhiare [23]2. Da una prospettiva polivagale, l’allattamento dipende da un complesso funzionale ventrale vagale, che consente la coordinazione del SNA con i muscoli striati per succhiare, deglutire, respirare e vocalizzare. Il complesso ventrale vagale costituisce il fondamento neuroanatomico del sistema di ingaggio sociale sociale proposto nella Teoria Polivagale ed elaborato nelle sezioni seguenti (vedi Figura 1). Le definizioni operazionali per il complesso ventrale vagale e il sistema di impegno sociale sono specifiche della PVT. Queste definizioni non impediscono ad altri di utilizzare termini simili che possono includere diverse strutture anatomiche che supportano altre funzioni comportamentali.

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Fig. 1. Il sistema di ingaggio sociale è costituito da una componente somatomotoria (blocchi pieni) e da una componente visceromotoria (blocchi tratteggiati). La componente somatomotoria coinvolge speciali vie efferenti viscerali, che regolano i muscoli striati del viso e della testa, mentre la componente visceromotoria coinvolge vie vago ventrali mielinizzate che regolano il cuore e i bronchi.

Il circuito consente inoltre ai mammiferi di “trasmettere” il loro stato fisiologico attraverso le fibre efferenti vagali che controllano l’intonazione vocale attraverso percorsi che regolano i muscoli laringei e faringei. I circuiti regolati dal complesso ventrale vago non solo promuovono uno stato autonomico calmo attraverso il vago ventrale, ma supportano anche diverse caratteristiche integrate nelle interazioni e nella socialità madre-bambino.

In secondo luogo, i mammiferi, a differenza dei rettili, hanno piccole ossa dell’orecchio medio staccate dalla mascella. Queste piccole ossa formano una catena di ossicini che trasmette funzionalmente gli stimoli vibratori dal timpano (cioè la membrana timpanica) all’orecchio interno. I muscoli dell’orecchio medio regolano la rigidità della catena degli ossicini, che a sua volta controlla la tensione del timpano. Quando il timpano è teso, la funzione di trasferimento acustico delle strutture dell’orecchio medio smorza l’energia acustica delle basse frequenze e ottimizza la trasmissione delle frequenze associate alla comunicazione sociale (ad esempio, le vocalizzazioni). Questo adattamento evolutivo ha consentito ai mammiferi di rilevare segnali acustici nell’aria che si verificano a frequenze più elevate rispetto a quelle rilevate dai rettili, la cui elaborazione acustica dipendeva dalla conduzione ossea. Il complesso ventrale vagale coinvolge anche i nervi che regolano i muscoli dell’orecchio medio collegando l’estrazione delle vocalizzazioni prosodiche con la calma dello stato autonomico e l’accessibilità sociale. Al contrario, i ruggiti a bassa frequenza dei predatori possono innescare reazioni di lotta/fuga, mentre le urla acute suscitano preoccupazione (vedi Rif. [24,25]).

Questa comprensione della funzione adattiva dei muscoli dell’orecchio medio collega l’ascolto alla funzione calmante. Ha inoltre fornito le basi neurofisiologiche di un intervento acustico noto come Safe and Sound Protocol™ ( https://integratedlistening.com/products/ssp-safe-sound-protocol/). Il Safe and Sound Protocol™ stimola il complesso vagale ventrale per calmare lo stato autonomico, migliorare l’elaborazione uditiva e stimolare il comportamento sociale spontaneo [[26][27][28][29]].

In terzo luogo, le interazioni spontanee tra frequenza cardiaca e respirazione, note come RSA nei mammiferi, dipendono dalle fibre vagali mielinizzate che hanno origine nel nucleo vagale ventrale in una regione del tronco cerebrale, nota come nucleo ambiguo. Questo punto distingue la RSA dalle osservazioni delle interazioni respirazione-frequenza cardiaca nei vertebrati non mammiferi e contribuisce al mantenimento di ventilazione/perfusione fisiologica ottimale [5]. Questa funzione può aiutare a spiegare il potere spesso notato dell’RSA nel prevedere vari aspetti della salute.

5. Evoluzione: parallelismi tra ontogenesi e filogenesi 

L’evoluzione viene utilizzata in TPV per identificare la sequenza filogenetica dell’aspetto anatomico e la presunta funzione adattativa nei vertebrati delle strutture del tronco encefalico coinvolte nella regolazione dello stato autonomico. L’obiettivo di questa ricerca è acquisire una migliore comprensione delle strutture che si esprimono nelle funzioni adattive del sistema nervoso autonomo umano. Per raggiungere questo obiettivo c’è interesse per gli antecedenti di queste strutture nelle specie di vertebrati evolutesi prima dei mammiferi. Pertanto, la Teoria Polivagale ha un profondo rispetto per la continuità tra le specie di vertebrati. Questo rispetto per la continuità è abbinato a un focus su come il riutilizzo della regolazione neurale del sistema nervoso autonomo nei vertebrati antecedenti ha fornito agli esseri umani e ad altri mammiferi attributi unici che consentono alla regolazione del sistema nervoso autonomo di supportare la socialità e ridurre la reattività alle minacce.

Nei mammiferi, i cambiamenti ontogenetici nella regolazione neurale del sistema nervoso autonomo sono paralleli alla filogenesi. L’anatomia comparata porta lo scienziato informato sul polivagale a indagare sull’embriologia e sullo sviluppo iniziale per confermare la sequenza di maturazione in cui le strutture neurali regolano il sistema nervoso autonomo. L’ordine di questa sequenza è importante perché la nozione di gerarchia, in cui i circuiti più nuovi inibiscono quelli più vecchi, è un principio fondamentale incorporato nella storia della neurologia (ad esempio, Rif. [30]). La sequenza che ordina i circuiti più nuovi e quelli più vecchi è la stessa quando viene mappata su una linea temporale filogenetica o ontogenetica. La semplicità della linea temporale ontogenetica è che questa prospettiva è descrittiva e non richiede un dialogo intriso di ipotetico valore adattivo o tempo cronologico di emergenza. La TPV ha avuto origine dalle intuizioni derivate dall’utilizzo dell’evoluzione come principio organizzatore e dall’indagine metaforica delle strategie biocomportamentali adattive delle specie di vertebrati. Tuttavia, la TPV dipende solo dall’identificazione della sequenza; una sequenza che si osserva anche nello sviluppo embriologico dell’uomo e di altri mammiferi viventi. 

La Teoria Polivagale non deduce né identifica i meccanismi attraverso i quali funziona l’evoluzione.  Essa tratta l’evoluzione come se fornisse una mappa delle relazioni ancestrali dei vertebrati simile a un albero genealogico. Teoricamente, è incentrata sui mammiferi e si concentra sulla storia filogenetica dei mammiferi sociali. Essa pone domande specifiche relative all’uomo, ad esempio in che modo la nostra storia evolutiva informa la nostra attuale comprensione del comportamento e della salute umana. Si concentra sui cambiamenti strutturali e funzionali nel sistema nervoso autonomo dei mammiferi che si riferiscono all’esperienza umana. Queste domande differiscono dalle domande relative ai rettili moderni. Condividiamo un antenato comune con i rettili moderni, ma non ci siamo evoluti da loro. Questo punto diventa di particolare rilevanza quando esploriamo la teoria e soprattutto come la teoria può essere fraintesa o interpretata erroneamente.

6. Transizione evolutiva dai rettili ai mammiferi

Per comprendere questo processo evolutivo dobbiamo avere una migliore comprensione della linea temporale in cui ipoteticamente è avvenuta la transizione dai rettili ai mammiferi. Riconoscere la linea temporale evolutiva dei mammiferi è fondamentale per valutare la rilevanza per la Teoria Polivagale della ricerca neurofisiologica condotta sulle moderne specie di rettili (che si sono evolute molto tempo dopo i primi mammiferi). I mammiferi non si sono evoluti dai rettili moderni. Piuttosto, l’enfasi della Teoria Polivagale sulla transizione evolutiva dai rettili ai mammiferi si riferisce a rettili antichi ed estinti che fungevano da antenati comuni sia per i mammiferi che per i rettili moderni. L’antenato comune si riferisce all’ipotesi ben accettata secondo cui esisteva una specie di rettili estinta da tempo da cui si sono evoluti sia i rettili moderni che i mammiferi [32]. Questo punto è fondamentale, poiché ci informa che le specie di rettili moderni NON fanno parte della storia filogenetica dei mammiferi e sono, quindi, irrilevanti per la la Teoria Polivagale3

I rettili moderni sono il prodotto di un viaggio evolutivo che ha modellato le loro strutture anatomiche, le funzioni fisiologiche e le strategie comportamentali.

Ciò non preclude la coerenza tra rettili e mammiferi moderni, ma riconosce che ci sarebbero stati cambiamenti importanti (presumibilmente adattativi) durante i 220 milioni di anni stimati dall’emergere sia dei mammiferi che dei rettili moderni dalle specie rettiliane ancestrali comuni da tempo estinte. Per mettere questa cronologia in prospettiva, si stima che 200 milioni di anni sia anche il periodo compreso tra i primi pesci ossei e i primi mammiferi. Pertanto, le inferenze riguardanti i moderni contrasti tra rettili e mammiferi dovrebbero basarsi sul presupposto ipotetico che i rettili moderni forniscano informazioni sulle caratteristiche di questo antenato rettile comune, ormai estinto da tempo.

Milioni di anni prima dell’esistenza dei rettili moderni, i primi mammiferi avevano già diverse caratteristiche descritte dalla teoria Polivagale. Poiché ci sono prove che i primi mammiferi potessero allattare possiamo dedurre che, analogamente ai mammiferi moderni, avessero un vago ventrale funzionale coordinato con la regolazione delle strutture di ingestione. Se fosse ipoteticamente possibile confrontare i primi mammiferi con i rettili moderni, queste caratteristiche sarebbero ancora distinguibili anche se sono trascorsi 200 milioni di anni.

7. Neuroanatomia comparativa: inferenza limitata 

La neuroanatomia comparata aiuta a identificare le notevoli modificazioni nella regolazione del sistema nervoso autonomo nei mammiferi che hanno portato ad una traiettoria evolutiva che fornisce gli elementi costitutivi biocomportamentali fondamentali della società: la capacità di fidarsi, sentirsi sicuri e di co-regolare con i conspecifici. Questi processi fondamentali reclutano percorsi neurali che smorzano le reazioni di minaccia portando a caratteristiche emergenti di socialità che caratterizzano la maggior parte dei mammiferi sociali contemporanei (vedi Rif. [33,34]). Ciò non preclude l’importanza del viaggio evolutivo dei rettili moderni, che occupano una nicchia diversa da quella dei mammiferi sociali in un mondo complesso, dinamico mutevole e sfidante. 

La neuroanatomia comparata non documenta l’evoluzione ma deduce le transizioni evolutive dalle specie viventi su cui possono essere condotti studi anatomici. Queste specie esistenti variano nel loro tempo di origine lungo la linea temporale evolutiva dei vertebrati. In generale, i reperti fossili sono stati utilizzati per datare il momento in cui sono emerse specie specifiche. Tuttavia, le nuove tecniche molecolari, che non erano disponibili quando la teoria fu proposta, spesso non concordano sulla documentazione fossile. Sebbene questa contraddizione sia una sfida all’interno della neuroanatomia comparata, è irrilevante per la base della TPV, perché la sequenza filogenetica rilevante per la TPV si rispecchia nell’embriologia dei mammiferi contemporanei, compreso l’uomo.

Sebbene una prospettiva comparativa sia stata determinante nel generare le ipotesi di lavoro che hanno portato alla TPV, la neuroanatomia comparativa non è necessaria o sufficientemente conclusiva per supportare o confutare gli attributi della teoria. Le inferenze riguardanti la filogenesi possono essere convalidate solo se le specie studiate dagli anatomisti comparati non fossero cambiate dalla loro comparsa iniziale. Ottimisticamente, se le strutture del tronco cerebrale che forniscono i nuclei di origine per le vie vagali fossero studiate in una specie di rettili che non è cambiata durante i 200 milioni di anni trascorsi dalla divergenza di queste linee, allora si potrebbe descrivere una migliore comprensione della transizione dai rettili ai mammiferi. Naturalmente, poiché l’evoluzione non è statica né lineare, questo presupposto è troppo restrittivo e impossibile da realizzare.

Quando la Teoria Polivagale fu sviluppata per la prima volta, la letteratura fu esaminata per determinare se fosse possibile studiare una specie di rettili che si evolse vicino al momento in cui i mammiferi si differenziarono dai loro antenati rettili. Per fare ciò, è necessario stimare il momento in cui si è evoluta una specie specifica. Storicamente, le stime si sono basate sulla documentazione fossile. Tuttavia, con le tecnologie più recenti, i biologi evoluzionisti utilizzano un orologio molecolare basato sulle mutazioni del DNA per stimare l’età. Sfortunatamente tra le specie di rettili c’è poca convergenza tra i due metodi. Ad esempio, le specie simili alla tartaruga, che si presume rappresentassero un rettile primitivo, utilizzando metodi molecolari sembrano essere più strettamente correlate ai rettili più moderni come i coccodrilli che si sono evoluti circa 95 milioni di anni fa.

Queste incoerenze hanno interrotto la presunta sequenza temporale filogenetica basata sui fossili che erano stati storicamente incorporati nella biologia evolutiva. Sebbene sappiamo che i mammiferi e i rettili moderni siano emersi da un comune antenato rettile estinto, possiamo solo parlare con cautela di una linea temporale di evoluzione all’interno di questo gruppo di vertebrati. A questo punto, la tempistica è fluida rispetto all’esatta sequenza filogenetica che descrive il lignaggio delle specie rettiliane. Ciò limita l’uso della neuroanatomia comparativa nel fornire approfondimenti sulle caratteristiche dell’antenato comune. Pertanto, al di là della sequenza filogenetica già descritta, sembra che la neuroanatomia comparata e la neurofisiologia comparata abbiano un’utilità limitata nel perfezionare la TPV. 

8. Migrazione ventrale dei neuroni cardioinibitori: l’emergere di un sistema di ingaggio sociale 

L’emergere di due aree vaghe cardioinibitorie del tronco cerebrale è il prodotto di una tendenza evolutiva nella migrazione ventrale dei neuroni cardioinibitori dal nucleo motore dorsale del vago al nucleo vagale ventrale (nucleo ambiguo). Una tendenza verso la migrazione ventrale delle fibre cardioinibitorie vagali è presente nei gruppi di vertebrati che si sono evoluti prima dei mammiferi [36]. Tuttavia, questa ricerca ha poco valore per la TPV e per lo studio dei mammiferi, poiché anche con i primi mammiferi questa migrazione era completa prima che si evolvessero i rettili moderni. Non solo sembra che un nucleo vagale ventrale cardioinibitore sia una caratteristica distintiva dei primi mammiferi, ma, poiché si presume che i primi mammiferi potessero allattare, il vago cardioinibitore ventrale sembra essere sufficientemente integrato con la regolazione delle strutture necessarie alla suzione. In parole povere, i primi mammiferi, ma non i rettili, avevano già sviluppato le strutture di base necessarie per il sistema di coinvolgimento sociale articolato descritto nella Teoria Polivagale e che si basa sulle funzioni neurali del complesso ventrale vagale.

Mentre viene studiata la funzione di queste due aree cardioinibitorie del tronco encefalico nei mammiferi, emerge una narrazione interessante sulle differenze tra specie nella distribuzione e nella funzione delle due aree cardioinibitorie. In alcuni rettili, la migrazione ventrale di parte della colonna cellulare efferente dorsale originaria è osservabile in varia misura, da un semplice rigonfiamento ventrale della colonna cellulare fino a una completa separazione [36].  Sebbene vi sia grande incertezza sulla precisa cronologia filogenetica di questa migrazione nei rettili, possiamo presumere che questa migrazione sia stata minima all’interno delle specie rettiliane estinte da tempo che hanno preceduto l’antenato comune. Se corretto, ciò suggerisce che un importante riutilizzo del cablaggio cardioinibitorio si è verificato nei mammiferi rispetto ai loro antichi antenati rettiliani, consentendo l’integrazione dell’ingaggio sociale (tramite speciali percorsi efferenti viscerali) con le richieste cardiovascolari e digestive. In effetti, è possibile che questo sia stato un evento critico nell’evoluzione dei mammiferi.

L’andamento filogenetico nella migrazione ventrale dei neuroni cardioinibitori può essere dedotto anche dallo studio dello sviluppo dei mammiferi, soprattutto attraverso studi di embriologia. Questo parallelo era stato riconosciuto per decenni (vedi Rif. [37]) Un’interessante interpretazione di questo processo di sviluppo è stata riportata nei ratti [38]. Quest’ultimo studio ha documentato cellule cardioinibitorie in tre regioni del tronco cerebrale: nucleo motore dorsale del vago, nucleo ventrale del vago e un’area tra queste due regioni. Gli autori hanno affermato che le tre posizioni sembrano rappresentare la migrazione “nessuna”, la migrazione “completa” e la migrazione “abortiva” che i rispettivi gruppi cellulari cardioinibitori subiscono durante la fase embrionale. Nosaka e colleghi [38] hanno ipotizzato che la distribuzione dei neuroni cardioinibitori nei mammiferi risulti da una variazione nel grado di migrazione ventrale di queste cellule determinata specificamente per ciascuna specie e che potenzialmente determina il substrato autonomico per i comportamenti difensivi adattativi che esprimono. Questa speculazione spiega potenzialmente le osservazioni di bradicardia come supporto adattivo all’immobilizzazione nei mammiferi che sono specie preda e sono coerenti con le osservazioni di bradicardia in seguito alla stimolazione elettrica del nucleo motore dorsale del vago nei conigli e la bradicardia spontanea che nei ratti può portare alla morte in risposta a pericolo di vita. Tuttavia, queste risposte cronotrope non sono state osservate nei mammiferi che sono specie predatrici (ad esempio, cani, gatti), sebbene siano stati segnalati casi di stimolazione elettrica del nucleo motore dorsale del vago che produce ridotta contrattilità e abbassamento della pressione sanguigna [[39], [40], [41]4, [42]]. Questa conclusione suggerisce che le differenze tra le specie (e anche tra gli individui) nella funzione di ciascun nucleo vagale cardioinibitore potrebbero dipendere dal successo della migrazione ventrale, che potrebbe essere influenzata durante lo sviluppo da vari processi (ad esempio, variazione genetica, modificazione epigenetica, ipossia, malnutrizione, maltrattamenti, traumi, prematurità, malattie, ecc.).

Mentre i neuroni cardioinibitori migravano ventralmente, la regolazione delle strutture emerse dagli antichi archi branchiali (strutture facciali e della testa nei mammiferi) sembra aver sviluppato connessioni interneuronali con i neuroni cardioinibitori ventrali. Nei mammiferi, il prodotto di questa integrazione neuroanatomica del tronco cerebrale collega il nucleo cardioinibitore vagale ventrale con nuclei che regolano la suzione e i segnali sociali attraverso l’espressione facciale e le vocalizzazioni. Funzionalmente, questo circuito neuronale forniva percorsi affidabili (ad esempio, vocalizzazioni) per comunicare lo stato autonomico ai conspecifici. Dal punto di vista dello sviluppo, questo è facilmente osservabile negli esseri umani perché il circuito di ingaggio sociale è attivo nei neonati a termine, creando un portale adattivo per la co-regolazione tra madre e bambino.

All’interno della TPV questa rete è chiamata “complesso ventrale vagale” (vedi Figura 1). Il complesso ventrale vagale viene proposto come substrato neurofisiologico di un sistema di ingaggio sociale (Social Engagement System) anatomicamente definito e funzionalmente integrato. Questo sistema è neuroanatomicamente limitato ai nuclei sorgente dei nervi cranici da cui emergono specifiche vie efferenti viscerali speciali (cioè branchiomotorie), sebbene le vie afferenti che viaggiano attraverso gli stessi nervi cranici costituiscano l’arto afferente. Questo sistema di comunicazione interneuronale tra questi nuclei del tronco cerebrale è stato forgiato dall’evoluzione e svolge una funzione importante nella sopravvivenza dei mammiferi attraverso il coinvolgimento essenziale di questo sistema nell’ingestione e nella comunicazione sociale.

Il Social Engagement System, basato su un substrato neuroanatomico definibile, supporta i comportamenti cooperativi che differenziarono i primi mammiferi dai rettili ancestrali. Il sistema di ingaggio sociale nei mammiferi moderni continua a fornire il substrato per la co-regolazione, l’attaccamento e la fiducia (cioè i processi attraverso i quali le interazioni sociali regolano e ottimizzano lo stato autonomico per supportare le funzioni omeostatiche di salute, crescita e ristoro). Questo sistema, essendo basato sulle strutture neuroanatomiche coinvolte nei percorsi di suzione-deglutizione-respirazione-vocalizzazione, è stato descritto da altri come una caratteristica funzionale e distintiva dei primi mammiferi.

Poiché le vie efferenti incluse nel sistema di ingaggio sociale sono esclusivamente efferenti viscerali speciali, è stato proposto che la TPV abbia inappropriatamente escluso il nervo ipoglosso.

Una spiegazione più approfondita del TPV rileva che,sebbene il Social Engagement System sia composto da speciali percorsi efferenti viscerali, essere classificato come efferente viscerale speciale non è l’unico criterio per l’inclusione. Dato che la TPV ha le sue radici nell’evoluzione, i nervi cranici sono visti da una prospettiva embriologica e non esclusivamente da una prospettiva anatomica. Nella strutturazione del sistema funzionale di ingaggio sociale e del suo substrato anatomico, il complesso ventrale vagale, l’inclusione di specifici nervi efferenti viscerali speciali si è basata su due criteri: 1) il nervo nasce dagli archi faringei durante lo sviluppo embrionale, e 2) vi è evidenza di comunicazione interneuronale tra il nervo e il vago. L’applicazione di questi criteri ha portato al raggruppamento dei nervi cranici V, VII, IX, X e XI, escludendo XII, il nervo ipoglosso. Coerentemente con queste caratteristiche, il feedback sensoriale nei centri motori che regolano questi specifici percorsi nervosi viscerali può, attraverso connessioni interneuronali, fornire portali aggiuntivi per regolare il vago ventrale e funzionalmente può agire come stimolatore del nervo vago.

Coerentemente con l’emergere di un sistema di ingaggio sociale nei mammiferi, Theodosius Dobzhansky, un noto genetista e biologo evoluzionista [44] ha riformulato il concetto di fitness sottolineando nella sua descrizione dei mammiferi che “il più adatto può anche essere il più gentile, perché la sopravvivenza spesso richiede aiuto e cooperazione reciproci”. L’intuitiva affermazione di Dobzhansky converge sull’enfasi della Teoria Polivagale sulle transizioni filogenetiche in neuroanatomia e neurofisiologia quando i mammiferi sociali si sono evoluti dai rettili. L’aiuto reciproco e la cooperazione dipendono da un sistema nervoso che ha la capacità di sottoregolare le reazioni alla minaccia per consentire la vicinanza necessaria per comportamenti cooperativi e co-regolazione. Nei mammiferi questo è osservato dal punto di vista neuroanatomico e neurofisiologico nei circuiti neurali riproposti che hanno origine nelle aree del tronco encefalico che regolano il sistema nervoso autonomo. Il sistema riproposto consente ai sentimenti di sicurezza di coesistere con la socialità, consentendo ai mammiferi neonati di interagire con le loro madri immediatamente dopo la nascita. Questo tema che collega il sistema nervoso autonomo alla socialità e ai sentimenti di sicurezza è stato elaborato in altre pubblicazioni (vedi Rif. [33,34]).

9. Monitoraggio dello sviluppo del vago ventrale tramite RSA

Negli esseri umani, la letteratura embriologica suggerisce una progressione maturativa simile all’andamento filogenetico dedotto dalla neuroanatomia comparata. Poiché la preponderanza delle fibre vagali mielinizzate cardioinibitorie ha origine nel nucleo vagale ventrale e non nel nucleo motore dorsale del vago, esiste l’opportunità di mappare la migrazione ventrale attraverso dati autoptici che dettagliano la distribuzione delle fibre vagali mielinizzate e non mielinizzate. Dati dell’autopsia confermano un aumento nello sviluppo del numero e del rapporto delle fibre vagali mielinizzate. Inoltre, sembra esserci una diminuzione del tasso di sopravvivenza dei neonati che presentano un’apparente carenza di fibre cardioinibitorie vagali mielinizzate. Questa carenza è stata segnalata in bambini morti a causa della sindrome della morte improvvisa del lattante, un disturbo che si presume sia associato a bradicardia neurogena.
Pertanto, sebbene possano esserci antecedenti filogenetici di un’evoluzione convergente di fibre mielinizzate cardioinibitorie originate dal nucleo motore dorsale del vago, l’opinione condivisa è che nei mammiferi l’influenza cardioinibitoria predominante proveniente dal nucleo vagale ventrale sia trasmessa attraverso le fibre mielinizzate. L’output funzionale del nucleo vagale ventrale segue un andamento maturativo. Quando c’è una carenza nel numero di fibre cardioinibitorie mielinizzate che hanno origine nel nucleo vagale ventrale, può esserci una soglia inferiore (vedere dissoluzione di seguito) alla bradicardia neurogena (potenzialmente aumentata da influenze inotropiche) attraverso le fibre cardioinibitorie non mielinizzate che hanno origine nel nucleo motore dorsale del vago (ad esempio, Rif. [47]). Quest’ultimo punto è coerente con TPV. 

Poiché le fibre emergenti dal nucleo vagale ventrale hanno un ritmo respiratorio, è possibile monitorare l’impatto funzionale di questi percorsi attraverso lo sviluppo iniziale studiando l’RSA nei mammiferi di laboratorio (ad esempio ratti, conigli) e nei neonati prematuri. La TPV limita la definizione di RSA al modello di frequenza cardiaca-respiratoria osservato nei mammiferi che è una funzione delle fibre vagali mielinizzate originarie del nucleo vagale ventrale (nucleo ambiguo). Storicamente, il termine RSA è stato utilizzato esclusivamente per descrivere il modello osservato nelle specie di mammiferi. Descrivere i modelli della frequenza cardiaca respiratoria in altri vertebrati non significa che i meccanismi neurali siano identici a quelli osservati nei mammiferi. Infatti, in specie di vertebrati diverse dai mammiferi, ad eccezione della segnalazione di una via cardioinibitoria mielinizzata che emerge dal nucleo motore dorsale del vago nei dipnoi, tutti i rapporti documentano che le interazioni frequenza cardiaca-respirazione erano mediate attraverso vie cardioinibitorie vagali non mielinizzate che hanno origine nel nucleo motore dorsale del vago. L’identificazione delle fibre mielinizzate nei dipnoi è stata utilizzata in modo improprio per dedurre un “difetto fatale” nella TPV. Tuttavia, l’identificazione delle fibre vagali mielinizzate nei dipnoi non è correlata alla TPV e riflette un malinteso su di essa. Il lungfish sembra essere un valore anomalo filogenetico, avendo antenati vertebrati che non avevano fibre vagali dorsali cardioinibitorie mielinizzate né questa caratteristica è stata trasmessa in modo affidabile ai gruppi di vertebrati che successivamente si sono evoluti (cioè anfibi, rettili, mammiferi).

Larson e Porges descrissero lo sviluppo della RSA nei cuccioli di ratto. I ratti hanno una gestazione breve e nascono estremamente prematuri rispetto agli umani. Il loro studio ha documentato una traiettoria maturativa di aumento della RSA. Alla nascita e durante i primi giorni di vita, l’RSA postpartum era trascurabile, sebbene entro il 20° giorno avesse raggiunto il livello dei ratti adulti. Uno studio con feti di pecora hanno documentato che man mano che il feto maturava, anche in assenza di movimenti respiratori sistematici fetali, il modello di RSA diventava più sinusoidale, riflettendo potenzialmente l’aumento maturativo della mielinizzazione delle vie cardioinibitorie ventrali vagali.

Coerentemente con la ricerca sugli animali, la nostra ricerca sull’uomo ha documentato un’ampiezza RSA significativamente inferiore nei neonati pretermine rispetto ai neonati a termine. Inoltre, sono state osservate le traiettorie maturative della RSA nei neonati pretermine ad alto rischio e l’RSA è stata migliorata nei neonati pretermine attraverso opportunità di ingaggio sociale con gli operatori sanitari. Questi studi su neonati umani, coerenti con la TPV, documentano che la maturazione del circuito cardioinibitorio ventrale vagale può essere monitorata attraverso la misurazione della RSA e può essere ottimizzata attraverso opportunità di ingaggio sociale che possono funzionare come esercizi neurali che coinvolgono il complesso ventrale vagale.

10. Dissoluzione 

L’identificazione di questa sequenza filogenetica fornisce la generazione di ipotesi verificabili informate dalla Teoria Polivagale legate al principio jacksoniano di dissoluzione. Incorporati nella dissoluzione ci sono i seguenti punti: 1) esiste una gerarchia filogenetica e ontogenetica, in cui i circuiti più nuovi inibiscono i circuiti più vecchi; e 2) durante le risposte a malattie cerebrali o danni alla funzione delle strutture cerebrali, i cambiamenti si verificano in una sequenza prevedibile che è stata descritta come dissoluzione o evoluzione al contrario.

Il TPV amplia il principio jacksoniano per esaminarne l’applicazione non solo ai cambiamenti nelle strutture cerebrali superiori, ma anche nelle strutture fondamentali del tronco encefalico basate sulla sopravvivenza che regolano il sistema nervoso autonomo. Inoltre, essa riconosce le tendenze parallele espresse sia nell’ontogenesi che nella filogenesi del SNA dei mammiferi. Pertanto, la dissoluzione è espressa come sviluppo al contrario, ipotizzando fondamentalmente che i circuiti regolatori autonomici più antichi (e con maturazione più precoce) (cioè il sistema nervoso simpatico e il vagale dorsale) verrebbero disinibiti sequenzialmente durante la prematurità per ottimizzare la sopravvivenza. Con un pregiudizio ontogenetico o filogenetico che definisce la dissoluzione, arriviamo alla stessa ipotesi plausibile e verificabile: sotto discussione c’è una progressione che potrebbe essere caratterizzata come evoluzione o sviluppo al contrario. Pertanto, la sequenza filogenetica o la sua equivalente sequenza di maturazione si svolgerebbe al contrario in risposta alle sfide della vita, siano esse agenti patogeni, lesioni fisiche o anticipazione di una minaccia alla vita (ad esempio, predatore). Concentrandoci sulla dissoluzione attraverso una lente evolutiva, fondata sulla ricerca dell’embriologia e dello sviluppo postpartum iniziale, evitiamo le distrazioni filogenetiche e spesso non verificabili che possono portare a incomprensioni sulla TPV.

11. Un test della Teoria Polivagale: dissoluzione nel reparto di terapia intensiva neonatale

In una ricerca precedente Reed et al.  hanno riportato una relazione tra RSA e una vulnerabilità alla bradicardia potenzialmente letale durante il parto. Di seguito è riportata una parte dell’abstract, che descrive sinteticamente il modello di dissoluzione previsto dalla TPV e supportato dalla letteratura sullo sviluppo e filogenetica.

Le accelerazioni transitorie della frequenza cardiaca e la ridotta variabilità battito per battito hanno preceduto in modo affidabile le decelerazioni della frequenza cardiaca. I dati vengono interpretati nel contesto della Teoria Polivagale, che fornisce una spiegazione plausibile dei meccanismi neurofisiologici che mediano le decelerazioni della frequenza cardiaca fetale. Nello specifico, si propone che sia le accelerazioni transitorie della frequenza cardiaca che la depressione del ritmo respiratorio nello schema della frequenza cardiaca battito per battito riflettano un ritiro del tono vagale determinato da vie vagali mielinizzate che hanno origine nel nucleo ambiguo. Funzionalmente, la sospensione del tono vagale che ha origine nel nucleo ambiguo fa sì che il pacemaker cardiaco diventi vulnerabile alle influenze simpatiche e alle vie vagali non mielinizzate più primitive che hanno origine nel nucleo motore dorsale del vago, che possono contribuire a bradicardia clinicamente rilevante. Psicobiologia dello sviluppo 35:108–118, 1999

La spiegazione sopra riportata delle funzioni adattative delle due vie vagali fornisce la documentazione di una soluzione empirica al paradosso vagale. Se questa sequenza sia espressa nei mammiferi maturi è una questione empirica. È possibile che le influenze cronotrope attraverso il vago dorsale siano ridotte al minimo con la maturazione, sebbene le influenze inotrope possano persistere e contribuire alla bradicardia neurogena attraverso il vago ventrale. Con domande e metodologie di ricerca appropriate, è possibile rispondere a questa domanda.

Ciò non preclude il caso euristico speciale del neonato umano pretermine, che potrebbe trovarsi in un punto dello sviluppo durante il quale la migrazione “ventrale” e la mielinizzazione dei neuroni vagali cronotropi sono processi attivi. Pertanto, la bradicardia clinica osservata nell’unità di terapia intensiva neonatale potrebbe essere mediata attraverso le vie vagali dorsali. La documentazione di questa possibilità viene dall’osservazione che l’influenza cronotropa attraverso le vie ventrale vagali ha distintamente un ritmo respiratorio, mentre le influenze cronotrope attraverso le vie vagali dorsali no. Nello studio sui neonati prematuri la frequenza cardiaca di fondo sulla quale si osserva la bradicardia è priva di ritmo respiratorio. Infatti, la prevalenza degli episodi bradicardici era direttamente correlata ai periodi durante i quali la RSA era soppressa.

12. Il Vago dorsale attraverso la lente della TPV: un aggiornamento

Forse, l’attenzione sulle influenze cronotrope vagali attraverso le vie vagali dorsali, che possono essere osservate in modo affidabile nel neonato immaturo ma non nell’adulto maturo, ha distratto da un potenziale contributo dei meccanismi inotropi che coinvolgono i neuroni nel nucleo motore dorsale del vago. È possibile che durante i periodi di sufficiente controllo ventrale vagale per supportare le funzioni omeostatiche (cioè salute, crescita e ristoro), l’influenza inotropa sui ventricoli, attraverso il vago dorsale, sia protettiva. Tuttavia, in assenza di una forte influenza vagale ventrale, coerente con la dissoluzione, potrebbe esserci una vulnerabilità per le influenze inotrope attraverso il vago dorsale che possono disturbare la regolazione della pressione sanguigna, che in alcuni casi potrebbe reclutare vie vagali ventrali nel produrre bradicardia pericolosa per la vita.

La possibilità che le vie ventrali vagali mielinizzate possano contribuire alla bradicardia durante condizioni di compromissione è stata suggerita come coerente con la Teoria Polivagale [58]. Fondamentalmente, è possibile che i meccanismi vagali dorsali possano minacciare la sopravvivenza alterando lo stato dei gas nel sangue in misura sufficiente a deprimere la respirazione e ad attenuare la Aritmia sinusale-respiratoria RSA , innescando al contempo una bradicardia compensatoria attraverso le vie vagali ventrali. La ricerca futura dovrà determinare se questa è un’ipotesi praticabile.

È importante notare che il vago dorsale ha funzioni benefiche negli esseri umani. Nella maggior parte delle condizioni normali, il vago dorsale mantiene il tono dell’intestino e favorisce i processi digestivi. Tuttavia, se sovraregolato, il vago dorsale contribuisce a condizioni fisiopatologiche tra cui la formazione di ulcere attraverso l’eccessiva secrezione gastrica e la colite. Ciò porta ad una domanda importante che potrebbe spiegare le reazioni inotrope in una prospettiva polivagale. La Teoria Polivagale enfatizza la sequenza gerarchica basata sull’evoluzione e sullo sviluppo per sviluppare ipotesi di regolazione autonomica in risposta alle sfide. Nel costruire la teoria, le intuizioni provenivano dalla tachicardia clinica facilmente osservabile seguita da bradicardia nei neonati pretermine che avevano depresso la RSA. La RSA depressa nei neonati pretermine è dovuta alla prematurità delle vie ventro-vagali e non è una funzione di malattia o di contesti stressanti, sebbene questi fattori potrebbero compromettere ulteriormente lo sviluppo post-partum. Coerentemente con la TPV, il vago ventrale depresso offre un’opportunità per cambiamenti sequenziali nella regolazione autonomica che coinvolgono sia le vie vaghe simpatiche che quelle dorsali.

La TPV propone che quando il vago ventrale gestisce in modo ottimale un sistema nervoso autonomo resiliente, sia il simpatico che il vago dorsale sono sinergicamente coordinati per supportare le funzioni omeostatiche tra cui la salute, la crescita e il ristoro. Tuttavia, quando le influenze vagali ventrali sono ridotte, come indice di RSA depressa e variabilità complessiva della frequenza cardiaca bassa, allora le vie simpatica e vagale dorsale sono pronte per essere reclutate sequenzialmente per la difesa. A livello autonomico, ciò verrebbe osservato inizialmente come un aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità cardiaca, sopprimendo al contempo le azioni inibitorie calmanti e omeostatiche del vago dorsale sul cuore e sull’intestino. Poiché la strategia di difesa simpatica è metabolicamente costosa, l’influenza vagale dorsale sul cuore e sull’intestino può essere innescata come un’impennata difensiva metabolicamente conservativa espressa come ridotta contrattilità del cuore, abbassamento della pressione sanguigna e pulizia dell’intestino. In generale, la letteratura sulla RSA e sulla variabilità della frequenza cardiaca suggerisce che una RSA depressa è una covariabile per diverse condizioni di salute, inclusi tipi di disfunzione intestinale, che si presume siano mediati da influenze vagali dorsali.

13. Riproporre il vago dorsale: specificità della specie

La specificità della specie di mammiferi che ripropongono la funzione del vago dorsale sul cuore (riducendo al minimo il cronotropo, pur mantenendo o potenzialmente migliorando le funzioni inotrope) non sembra modificare i ruoli delle vie vago dorsale che regolano gli organi sottodiaframmatici (ad esempio, l’intestino), che possono contribuire all’elevata prevalenza di segnalazioni cliniche di sindrome dell’intestino irritabile nei sopravvissuti al trauma anche se non erano stati immobilizzati. Sebbene la bradicardia possa non essere un fenomeno affidabile per tutti coloro che sperimentano una minaccia per la vita, altri cambiamenti autonomici mediati attraverso il vago dorsale, come la riduzione della contrattilità e delle reazioni intestinali, possono essere indicatori più affidabili di una reazione alla minaccia. Pertanto, mentre le differenze tra le specie spiegavano parte della confusione presente in letteratura relativa al ruolo cardioinibitorio cronotropo dei due nuclei vagali, l’importante ruolo inotropico delle vie vagali dorsali potrebbe essere stato trascurato.

Una piena comprensione della funzione cardioinibitoria attraverso le vie vagali negli esseri umani è ancora speculativa. Tuttavia, potrebbe riflettere una serie di differenze individuali che potrebbero essere ampliate da potenziali disturbi al normale sviluppo dovuti a sfide perinatali, come prematurità, ipossia, maltrattamenti e malnutrizione. Sebbene sia stato ipotizzato che negli esseri umani le fibre cronotrope vagali che viaggiano dal nucleo motore dorsale del vago al cuore siano funzionalmente dormienti [59], questa ipotesi potrebbe non essere accurata. Potenzialmente, questo sistema può essere sensibile o riservato all’azione in risposta a segnali che mettono a dura prova la vita come l’ipossia o in alternativa le vie inotrope vagali dorsali possono innescare, attraverso cambiamenti nella pressione sanguigna, reazioni cronotrope ventrali vagali. Pertanto, ipoteticamente, questo circuito neurale potrebbe mapparsi in una serie di differenze individuali che sarebbero parallele alle osservazioni cliniche delle variazioni individuali nella propensione a spegnersi o addirittura a svenire in risposta alla minaccia. La ricerca suggerisce che in un normale stato “omeostatico”, le vie vagali dorsali hanno un ruolo inotropico protettivo sul miocardio (vedi Rif.  [[5][6][7][8][9]]). Tuttavia è possibile che durante la minaccia si verifichi un aumento acuto dell’influenza inotropa che sarebbe sufficiente a scatenare ipotensione e sincope.

14. Il freno vagale: una misura dell’efficienza vagale ventrale (VE)

14.1 Freno Vagale Ventrale 

Negli esseri umani, le vie efferenti ventrali vagali che portano al cuore funzionano come un freno. La frequenza intrinseca del cuore nell’uomo sano, anche senza eccitazione simpatica, è significativamente più veloce della frequenza cardiaca a riposo. Pertanto, nella maggior parte delle condizioni, il vago, principalmente attraverso le fibre vagali mielinizzate che hanno origine nel nucleo ambiguo, inibisce attivamente la frequenza cardiaca. Tuttavia, quando è necessario interagire attivamente con elementi selezionati nell’ambiente, i neuroni corticali inibiscono i bisogni omeostatici e la gittata cardiaca viene rapidamente aumentata per soddisfare le richieste metaboliche. In queste situazioni si verifica un ritiro transitorio del tono vagale al cuore per aumentare la frequenza cardiaca, che definisce la rimozione del freno vagale [4].

Il freno vagale riflette l’influenza inibitoria delle vie mielinizzate ventrali vagali sul cuore, che rallenta la frequenza intrinseca del pacemaker cardiaco. La frequenza cardiaca intrinseca degli adulti sani è di circa 90 battiti al minuto. Tuttavia, negli esseri umani la frequenza cardiaca di base è notevolmente più lenta a causa dell’influenza del vago ventrale, che funziona come un “freno”. Quando il vago ventrale diminuisce la sua influenza sul cuore, il “freno” viene rilasciato e la frequenza cardiaca aumenta spontaneamente. Ciò non è dovuto esclusivamente ad un aumento dell’eccitazione simpatica, ma piuttosto il rilascio del freno vagale consente di esprimere la frequenza intrinseca del pacemaker. Il freno vagale rappresenta le azioni di attivazione e disattivazione dell’influenza vagale ventrale sul pacemaker del cuore. Inoltre, il rilascio del freno vagale sul cuore consente anche all’eccitazione simpatica tonica sottostante di esercitare una maggiore influenza sul sistema nervoso autonomo. La TPV [1,4,60,61] presuppone specificamente che il freno vagale sia mediato principalmente attraverso il vago ventrale mielinizzato e possa essere quantificato dall’ampiezza della RSA. La teoria riconosce altre influenze neurali (ad esempio, vie vagali dorsali) e neurochimiche che possono influenzare la frequenza cardiaca (ad esempio, bradicardia clinica), ma questi meccanismi non sono coinvolti nella mediazione delle influenze cronotrope del freno vagale ventrale come definito all’interno della TPV.

Il freno vagale è concettualizzato come un meccanismo fisiologico neurale adattivo che favorisce l’impegno e il disimpegno con l’ambiente. Quando le richieste richiedono uno stato comportamentale calmo, il ripristino del freno vagale rallenta la frequenza cardiaca e fornisce il supporto fisiologico per comportamenti auto-calmanti. Esiste un’ampia letteratura che documenta come il livello basale e non sfidante della RSA e altri parametri di variabilità della frequenza cardiaca siano correlati a risultati di salute mentale con valori più elevati solitamente associati a risultati più positivi e a maggiore resilienza (vedere Rif. [62]). Quando il freno vagale supporta in modo efficiente le mutevoli richieste metaboliche, la modulazione neurale dell’RSA è parallela a un cambiamento monotono della frequenza cardiaca.

14.2 Efficienza Vagale Ventrale (VE)

L’efficienza del freno vagale potrebbe essere valutata lungo diverse dimensioni, inclusi i cambiamenti nell’ampiezza dell’RSA o un indice di variazione della frequenza cardiaca rispetto al cambiamento dell’RSA in risposta ad una sfida definita. La definizione di sfida è arbitraria e spesso definita all’interno di specifici paradigmi sperimentali (ad esempio, sforzo mentale, attenzione, stato di sonno, esercizio fisico, interazione sociale, cambiamento di postura). Soprattutto durante gli stati di allerta o vigilanza, le risposte alle sfide devono essere rapide e continue. Ad esempio, le esigenze ambientali spesso cambiano dinamicamente in condizioni di vita reale.

Per valutare la funzione dinamica del freno vagale, è necessario generare misure di RSA e frequenza cardiaca per brevi periodi sequenziali. La maggior parte dei metodi per quantificare l’RSA, come l’analisi spettrale, presuppongono in modo inappropriato che l’ampiezza dell’RSA fosse una caratteristica stazionaria delle serie temporali della frequenza cardiaca. In generale, questi metodi richiedono periodi di diversi minuti per calcolare un’ampiezza media di RSA. La misurazione su periodi di tempo più lunghi presuppone che le variazioni su periodi di tempo più brevi siano trattate statisticamente come errori di misurazione. Tuttavia, per valutare la funzione dinamica del freno vagale, le stime della frequenza cardiaca e dell’RSA devono essere calcolate in periodi o epoche di breve durata.

I cambiamenti epoca per epoca nell’RSA possono essere valutati come una manifestazione misurabile di cambiamenti dinamici nel controllo vagale del cuore e non si presume che siano errori di misurazione distribuiti attorno a una tendenza centrale. Pertanto, sarebbe necessario quantificare l’RSA su periodi relativamente brevi di soli pochi secondi. A differenza di altri metodi, il metodo Porges-Bohrer [17,63,64] offre l’opportunità di studiare l’ampiezza della RSA, che cambia dinamicamente indipendentemente da una potenziale linea di base non stazionaria rappresentante i cambiamenti dinamici nella frequenza cardiaca.

L’efficienza del freno vagale potrebbe essere valutata lungo diverse dimensioni, incluso un indice di variazione della frequenza cardiaca rispetto alla variazione dell’RSA in risposta ad una sfida definita. Questa metrica, ora denominata efficienza vagale (VE), descrive la relazione dinamica tra RSA e frequenza cardiaca. In diversi articoli abbiamo misurato il VE durante una sfida posturale, poiché sposta in modo riflessivo le influenze vagali sul cuore, è indipendente dalle richieste cognitive o sociali ed è facilmente standardizzabile. Inoltre, offre l’opportunità di incorporare una manipolazione che comporta sfide dinamiche che coinvolgono il feedback barosensoriale. VE viene calcolato come la pendenza della regressione lineare tra coppie sincrone di valori di epoche di breve durata (ad esempio, 15 s) di RSA e periodo cardiaco monitorati durante le condizioni di postura (ad esempio, supino, seduto, in piedi). VE misura l’effetto dinamico della frequenza cardiaca come accoppiamento istantaneo tra RSA e frequenza cardiaca. La VE viene valutata quantitativamente misurando la pendenza della regressione lineare tra stime di breve periodo della frequenza cardiaca e RSA. La pendenza è facilmente interpretabile come l’entità della variazione del periodo cardiaco (reciproco della frequenza cardiaca) in ms per unità di ampiezza RSA. Quanto più ripida è la pendenza, tanto maggiore è l’impatto o l’efficienza del freno vagale sulla frequenza cardiaca. In coloro che hanno punteggi VE elevati, i cambiamenti dell’RSA producono un impatto simile sulla frequenza cardiaca indipendentemente dall’RSA reale. Le basse correlazioni tra RSA e VE supportano ulteriormente questa indipendenza statistica osservata.

Precedenti ricerche dimostrano che il VE si degrada in risposta all’alcol, precedendo la morte in seguito a un intervento chirurgico nelle arvicole della prateria, differenzia gli stati di sonno nei neonati sani con un maggiore VE durante il sonno attivo quando sarebbe richiesto l’accoppiamento cardiaco-somatico e mostra uno spostamento della maturazione post-partum in alta età nei neonati a rischio. Gli studi che hanno valutato il VE durante le sfide posturali hanno documentato che era basso negli adolescenti con sindrome da ipermobilità articolare, basso nei pazienti con dolore addominale funzionale e non era influenzato dal blocco colinergico parziale (non pubblicato). Quest’ultimo risultato suggerisce che la VE riflette lo stato dei circuiti integrativi del tronco encefalico e può fornire informazioni che non sono osservate nell’RSA come misura del deflusso vagale cardioinibitorio. Inoltre, i dati suggeriscono che la metrica è utile anche quando l’intervallo della frequenza cardiaca e dell’RSA non viene esteso attraverso sfide metaboliche o barosensoriali. Dal punto di vista psicometrico, ciò sarebbe coerente con il rapporto secondo cui le distribuzioni delle pendenze delle linee di regressione sono relativamente immuni dall’influenza dell’intervallo.

Nella ricerca preliminare, abbiamo esplorato la relazione tra VE e storia di maltrattamenti. Abbiamo studiato se i modelli atipici di reattività autonomica e di recupero ai fattori di stress frequentemente osservati nei sopravvissuti al trauma siano influenzati da un freno vagale inefficiente. Lo studio ha documentato che le storie di maltrattamento erano associate a un VE inferiore, che a sua volta mediava più sintomi di ansia e depressione. La VE, riflettendo un’interruzione del feedback tra il cuore e il tronco encefalico, che può anche portare a intorpidimento del corpo, potrebbe indicizzare la regolazione autonomica verso fattori di stress e sintomatologia psichiatrica. La EV attenuata può essere un meccanismo attraverso il quale il maltrattamento induce rischi per la salute mentale e gli interventi volti a promuovere un’efficiente regolazione vagale possono essere promettenti per migliorare la resilienza e il benessere nei sopravvissuti al trauma. In sintesi, la VE può essere una misura potente, a basso costo, facilmente quantificabile e scalabile, che potrebbe potenzialmente fornire uno screening rapido in grado di identificare un parametro vagale ventrale di regolazione autonomica atipica. La metrica VE potrebbe contribuire a una diagnosi più raffinata della disautonomia e di diversi disturbi funzionali.

15. Questionario sulla percezione corporea: reattività autonomica auto-riferita

La teoria polivagale sottolinea che lo stato autonomico è una variabile interveniente che media le differenze individuali nella risposta e nel recupero dalle sfide. In generale, le ipotesi di verifica della ricerca generate dalla teoria sono dipese dal monitoraggio delle variabili autonomiche, in particolare degli indici di influenza ventrale vagale come RSA e VE. Tuttavia, la dipendenza dal monitoraggio fisiologico limiterebbe la capacità di testare ipotesi al di fuori di laboratori ben attrezzati. In risposta alla necessità di valutare la regolazione dello stato autonomico nella ricerca sui sondaggi, abbiamo sviluppato un questionario, il Body Perception Questionnaire Short Form (BPQ-SF) [[72], [73], [74], [75]]. Il BPQ-SF [72] fornisce una misura delle esperienze auto-riferite di reattività negli organi e nei tessuti regolati dal sistema nervoso autonomo. È stato riscontrato che il BPQ-SF ha buone proprietà psicometriche, validità convergente con misure simili e struttura fattoriale coerente tra i campioni. In uno studio di validazione di laboratorio punteggi più elevati di reattività autonomica sul BPQ-SF erano associati a modelli di reattività autonomica destabilizzata (vale a dire, RSA inferiore, frequenza cardiaca più elevata, recupero più scarso al test).

In un altro studio che utilizzava il BPQ-SF, l’associazione frequentemente riportata tra funzione sessuale e storia di avversità era mediata da un sistema nervoso autonomo orientato al mantenimento di uno stato fisiologico che supporta strategie difensive. Coerentemente con la relazione di cui sopra, abbiamo documentato che la misura BPQ-SF della reattività autonomica mediava la relazione tra storia di avversità e sintomi di salute mentale durante la fase iniziale della pandemia di Covid-19 (dal 29 marzo al 13 maggio 2020) in individui che non erano stati infettati. Questi studi confermano che una misura self-report della regolazione autonomica può essere utilizzata nella ricerca come variabile interveniente affidabile nel mediare l’impatto delle avversità sui risultati (ad esempio, salute mentale, funzione sessuale) e fornire uno strumento per testare in modo economico le ipotesi informate al polivagale senza l’onere del monitoraggio fisiologico.

16. Neurocezione 

La teoria polivagale propone che la valutazione neurale del rischio e della sicurezza inneschi riflessivamente cambiamenti nello stato autonomico senza richiedere consapevolezza cosciente. Pertanto, il termine “neurocezione” è stato introdotto per enfatizzare un processo neurale, distinto dalla percezione, in grado di rilevare e distinguere caratteristiche ambientali e viscerali che sono sicure, pericolose o minacciose per la vita [78,79]. Negli esseri umani e in altri mammiferi sociali, la neurocezione è concettualizzata come consistente in reazioni “riflessive”, che preparano l’organismo alla difesa o inibiscono la difesa per promuovere funzioni omeostatiche tra cui salute, crescita, ristoro e socialità. Una forma di neurocezione può essere trovata praticamente in tutti gli organismi viventi, indipendentemente dallo sviluppo del sistema nervoso. In effetti, si potrebbe sostenere che gli organismi unicellulari e persino le piante abbiano una forma primordiale di neurocezione che risponde alla minaccia. Come mammiferi, abbiamo familiarità con le reazioni al dolore, un tipo di neurocezione. Reagiamo al dolore prima della nostra capacità di identificare la fonte dello stimolo o addirittura della consapevolezza della lesione. Allo stesso modo, il rilevamento della minaccia sembra essere comune a tutte le specie di vertebrati. Tuttavia, i mammiferi hanno una capacità neurocettiva ampliata in cui non solo reagiscono istantaneamente alla minaccia, ma rispondono istantaneamente anche ai segnali di sicurezza. È quest’ultima caratteristica che consente ai mammiferi di ridurre la regolazione delle strategie difensive per promuovere la socialità consentendo la vicinanza psicologica e fisica senza anticipare potenziali lesioni. È questo meccanismo calmante che segnala in modo adattivo la regolazione centrale della funzione autonomica per smorzare le reazioni di lotta/fuga metabolicamente costose dipendenti dall’attivazione simpatica e per proteggere il sistema nervoso centrale ossigeno-dipendente, in particolare la corteccia, dalle reazioni difensive metabolicamente conservatrici del complesso vagale dorsale (ad esempio, svenimento, finzione di morte).

PVT propone che la neurocezione coinvolga funzionalmente sia meccanismi top-down che bottom-up. Si presume che il processo di neurocezione venga avviato attraverso percorsi top-down che coinvolgono aree corticali situate all’interno o vicino alla corteccia temporale, componenti del sistema nervoso centrale che interpretano riflessivamente segnali di minaccia e sicurezza. Queste aree della corteccia sono sensibili all’intenzionalità dei movimenti biologici tra cui voci, volti, gesti e movimenti delle mani. Incorporata nel costrutto della neurocezione è la capacità del sistema nervoso di reagire all’intenzione di questi movimenti. La neurocezione decodifica e interpreta funzionalmente lo scopo presunto dei movimenti e dei suoni degli di esseri viventi e di oggetti inanimati. Pertanto, la neurocezione di individui familiari e di individui con voci adeguatamente prosodiche e volti caldi ed espressivi si traduce spesso in un’interazione sociale positiva, promuovendo un senso di sicurezza (ad esempio, segnali di sicurezza nella voce delle madri riducono la frequenza cardiaca del bambino e il disagio comportamentale)[80; vedesi articolo dedicato: La-prosodia-della-voce-materna-coregola-lo-stato-biocomportamentale-del-neonato/]5.

Lo stato autonomico risponde alla rilevazione top-down del rischio o della sicurezza. Le reazioni autonomiche inviano informazioni sensoriali relative alle sensazioni corporee al cervello, dove vengono interpretate e sentite consapevolmente. L’arto dal basso verso l’alto della neurocezione è funzionalmente equivalente all’interocezione. Pertanto, anche se spesso non siamo consapevoli delle caratteristiche specifiche degli stimoli che attivano la neurocezione, siamo generalmente consapevoli delle reazioni del nostro corpo (cioè sentimenti viscerali) incarnate nelle firme autonomiche che supportano comportamenti adattivi (cioè impegno sociale, lotta/fuga, spegnimento).

17. Teoria Polivagale: I principi 

Come elencato nella tabella seguente, la TPV può essere riassunta in cinque principi primari. Sebbene i principi siano enunciati succintamente, essi riflettono l’estrazione del complesso materiale interdisciplinare presentato nelle sezioni precedenti così come la ricchezza di informazioni che si è accumulata dalla presentazione iniziale della teoria nel 1994. Durante tutto questo periodo, TPV è stata citata in più di 15.000 riviste peer reviewed e, inaspettatamente, migliaia di terapisti attualmente si identificano come informati su Polyvagal.

I principi formano un modello gerarchico interdipendente in cui ciascun principio deve essere riconosciuto in sequenza. Il feedback proveniente sia dalla comunità di ricerca che da quella clinica ha contribuito a fornire chiarezza nell’articolazione di questi principi, mentre la teoria si evolveva nel corso dei tre decenni trascorsi dalla sua presentazione iniziale. Nella sua forma originale la teoria aveva un focus speculativo ipotetico derivato dall’estrazione di principi dalla letteratura. Letteralmente, la presentazione iniziale è stata strutturata come una sfida rivolta ai colleghi per espandere, perfezionare o confutare le caratteristiche della presentazione con l’obiettivo ottimistico e collaborativo di acquisire una migliore comprensione di come lo stato autonomico fosse correlato all’esperienza umana.

Quando ho introdotto la teoria nel 1994, come scienziato di laboratorio, avevo un’esperienza limitata nel campo della salute mentale e soprattutto nel campo ormai fiorente del trauma. Verso la fine degli anni ’90 presentavo la teoria in incontri per operatori di salute mentale, spesso incentrati sul trauma. Con mia sorpresa durante questi incontri, sono stato informato dai sopravvissuti a gravi avversità che la TPV ha fornito loro una narrazione per spiegare le loro esperienze personali. Sono stato anche informato da diversi terapeuti che la prima cosa che facevano con i loro pazienti traumatizzati era spiegare la TPV. Attraverso queste esperienze nel mondo clinico, ho potuto constatare la validità intuitiva e l’utilità della TPV come narrativa biocomportamentale scientifica coerente con le esperienze dei sopravvissuti al trauma. Inoltre, sia i terapeuti che i sopravvissuti mi informarono personalmente del potere terapeutico di comprendere che le loro reazioni erano copioni neurobiologici “riflessivi” di sopravvivenza al di fuori dell’ambito del comportamento intenzionale. Ciò ha spostato la loro comprensione delle proprie esperienze dalla vergogna e dalla colpa (ad esempio, perché non correvano o combattevano) a un profondo rispetto per i meccanismi di sopravvivenza fondamentali del loro corpo, che dipendevano dai circuiti del tronco cerebrale che regolavano il sistema nervoso autonomo.

17.1. Panoramica: la Teoria Polivagale come algoritmo

Considerato il background di circa 30 anni di feedback sia dalla ricerca che dalle comunità cliniche, la sfida è se i principi della PVT possano essere sinteticamente perfezionati per essere sufficientemente accessibili in modo rispettoso sia delle sue basi scientifiche che delle esperienze riportate nella clinica. Per fare ciò, dobbiamo approfondire le radici della teoria e le domande fondamentali che affronta.

La Teoria Polivagale propone che caratteristiche specifiche della funzione autonomica nei mammiferi vengano reclutate per ottimizzare la sopravvivenza. Questa è lungi dall’essere una proposta innovativa. Tuttavia, la Teoria Polivagale propone che questa ipotetica “sopravvivenza ottimale” sia il prodotto di un algoritmo neurale funzionale attraverso il quale il sistema nervoso prende decisioni relative alla sopravvivenza in base a una varietà di fattori. Come ogni entità decisionale, vengono riconosciute tre fonti di informazione (ovvero input, output, “elaborazione” interna). In questo modello l’input è la sfida, l’output è la risposta, l’elaborazione interna è condotta dal sistema nervoso.

Storicamente, nella sua ricerca dedicata alle “leggi della natura”, la scienza si concentra principalmente solo su due di queste fonti (causa ed effetto o stimolo-risposta), mentre tratta le risorse interne dell’entità (cioè l’organismo) come errore casuale. Questo è il caso dell’applicazione degli studi di controllo randomizzato (RCT), il gold standard nella ricerca medica. Tuttavia, se includiamo caratteristiche della resilienza autonomica, come la sua capacità individuale o situazionale di riprendersi in modo efficiente da sfide dirompenti per supportare le funzioni omeostatiche, allora il modello si espande dal test di ipotesi di causa ed effetto alle domande su come la regolazione neurale del SNA media la reattività e il recupero nei confronti delle sfide. Nel mondo odierno orientato ai dati, questo algoritmo neurale sarebbe concettualizzato come un modello di mediazione che genererebbe firme SNA (profili) per ottimizzare i processi attraverso un’ampia gamma di aggiustamenti adattivi da quelli che supportano i processi omeostatici del corpo (salute, crescita e recupero) a quelli che supportano i processi di sopravvivenza metabolicamente costosi che richiedono azioni di lotta e fuga efficienti. Questo algoritmo di mediazione contrasta con l’inferenza di causa-effetto estratta da un modello RCT o con la dipendenza dell’epidemiologia da modelli lineari per dedurre relazioni di causa-effetto.

La TVP esplora le implicazioni di questo algoritmo di mediazione. Ciò consentirebbe alla scienza di fornire un indice di diversi stati autonomici che fornirebbe firme autonomiche utili per una varietà di discipline (ad esempio, monitorare l’accessibilità all’apprendimento, alla socializzazione, per supportare i processi omeostatici di salute, crescita e recupero). Forse, l’aspetto più informativo di un tale algoritmo sarebbe quello di identificare i percorsi autonomici che supporterebbero la capacità di ridurre la minaccia per consentire la mobilitazione e l’immobilizzazione con altri fidati e non innescare la difesa. Ad esempio, l’algoritmo potrebbe essere applicato per confermare se specifici percorsi autonomici vengono reclutati per supportare richieste apparentemente contraddittorie che richiedono mobilitazione come il gioco in contrasto con comportamenti di lotta-fuga o immobilizzazione come l’intimità in contrasto con la finzione di morte. È questo processo di mobilitazione e immobilizzazione funzionalmente liberante dalle strategie difensive guidate dalla minaccia che la TPV ipotizza abbia supportato l’emergere del comportamento sociale e della cooperazione nelle specie di mammiferi sociali [33,34].

17.2. Principio 1. Lo stato autonomico funzione come una variabile interveniente 

All’interno di questo concetto di algoritmo come si inseriscono i principi della teoria? Il Principio 1 si concentra sulle risorse e sulla flessibilità del sistema: la capacità di rispondere, elaborare e recuperare. Funzionalmente questo principio sottolinea che lo stato autonomico funge da piattaforma “neurale” che limita e promuove ampi domini di comportamenti ed esperienze psicologiche in contesti di sicurezza, pericolo e minaccia alla vita.

La PVT si espande e diverge dalle discipline neuroscientifiche studiando i parallelismi tra lo stato autonomico e i processi mentali, fisici, sociali, affettivi e sanitari. Essa incoraggia i ricercatori ad andare oltre la conduzione di studi per confermare queste correlazioni e sottolinea i limiti della ricerca correlazionale come strategia di ricerca imprecisa, che offusca i meccanismi critici di mediazione dei fenomeni correlati. La TPV ritiene che la ricerca correlazionale si concentri sui fenomeni che covariano e non sui percorsi neurali sottostanti che spiegherebbero come i meccanismi autonomici verrebbero integrati all’interno dei processi reali studiati. Sottolinea un’importante prospettiva sfuggita alla ricerca correlazionale: come il SNA sia parte di una risposta integrata e non di una covariata. Ciò potrebbe riformulare l’attuale uso delle comorbilità all’interno dei sistemi diagnostici di salute mentale e fisica da relazioni correlative ad attributo di un sistema interrotto, che potrebbe essere espresso in diversi risultati che includono caratteristiche sia della salute mentale che fisica.

Storicamente, PVT è coerente con il lavoro di Ernst Gellhorn [14], che ha sottolineato l’integrazione dei sistemi autonomo, corticale e somatico. Al contrario, le scienze basate sulla correlazione come l’epidemiologia forniscono probabilità, che vengono spesso interpretate come approfondimenti sui meccanismi causali e spesso, a causa di inferenze errate, portano a trattamenti inappropriati con scarsi risultati.

Una volta che l’obiettivo della ricerca si sposta dalla correlazione ai parametri che mediano l’integrazione, allora i diversi componenti del sistema nervoso, compresi il sistema somatico, corticale, autonomo, endocrino, istaminico e immunitario, vengono visti come circuiti funzionanti in modo interdipendente, che attraverso un dialogo dinamico bidirezionale sono costantemente informati e adeguano i risultati. Questo punto fu affermato in modo eloquente nel 1949 da Walter Hess nelle prime frasi del suo discorso per il Premio Nobel. I modelli di mediazione spostano l’agenda della ricerca dalla correlazione e dalla tendenza a generare inferenze di causalità errate quando le correlazioni sono elevate (ad esempio, epidemiologia) e a perdere importanti variabili di mediazione quando le correlazioni sono basse.

Riconoscere che lo stato autonomico funziona come una variabile interveniente è il primo principio della TPV. Questo principio trasforma le domande e le ipotesi di ricerca, che in precedenza si erano concentrate sull’esplorazione dei dati correlazionali, in un algoritmo che avrebbe un’utilità predittiva nello spiegare l’aggiustamento adattativo dinamico dello stato autonomico. Un algoritmo, attraverso un’ampia indagine scientifica, potrebbe portare ad una migliore comprensione delle condizioni e delle differenze individuali che documenterebbe l’impatto del supporto autonomico potenziato o disfunzionale sui processi omeostatici tra cui salute, crescita, recupero e socialità.

17.3. Principio 2. Tre circuiti neurali formano una gerarchia di risposta ordinata filogeneticamente che regola l’adattamento dello stato autonomico ad ambienti sicuri, pericolosi e potenzialmente letali

Il Principio 2 è stato ampiamente descritto nelle sezioni precedenti. La TPV sottolinea che tre circuiti neurali, che regolano lo stato autonomico, sono importanti determinanti dell’algoritmo biocomportamentale, che consentono alle variazioni dello stato autonomico di supportare in modo prevedibile diverse funzioni adattative. Un’attenta revisione della letteratura documenta che i nuclei del tronco cerebrale che regolano il sistema nervoso autonomo seguono una sequenza filogeneticamente ordinata che ha avuto inizio negli antichi vertebrati e attraverso il processo di evoluzione è stata modificata e riproposta nei mammiferi. La TPV è incentrata sui mammiferi e si concentra sull’identificazione e sulla descrizione degli script biocomportamentali prodotti da un ipotetico algoritmo del tronco encefalico che ottimizzerebbe la sopravvivenza negli esseri umani. La sequenza filogenetica inizia con il vago dorsale, seguito dal sistema simpatico spinale e infine con il vago ventrale. Identificando i copioni biocomportamentali di ciascuno di questi circuiti, apprezziamo l’efficienza dei tre circuiti neurali nel tentativo di ottimizzare la sopravvivenza in risposta a segnali di sicurezza, pericolo e minaccia per la vita.

Gli script sono utili per identificare quando il sistema nervoso autonomo è in uno stato che supporta le funzioni omeostatiche (salute, crescita, ristoro e socialità), quando supporta gli stati metabolicamente costosi che richiedono comportamenti di lotta e fuga, e quando supporta reazioni di immobilizzazione ( fingendo di morire) in reazione alla minaccia alla vita, che potrebbero non supportare il fabbisogno di ossigeno dell’organismo. L’identificazione dei tre circuiti fornisce una base neurofisiologica per spiegare i meccanismi attraverso i quali ciascuno stato del SNA supporta comportamenti ed esperienze diversi. Come sottolineato nel Principio 4, le conseguenze biocomportamentali di questa migrazione ventrale dei neuroni cardioinibitori nel tronco encefalico forniscono un principio organizzativo per comprendere che la regolazione neurale del SNA negli esseri umani è un fattore abilitante alla socialità [33,34].

17.4. Principio 3. In risposta a una sfida, il SNA si sposta verso stati regolati da circuiti che si sono evoluti in precedenza in linea con il principio jacksoniano di dissoluzione [30], un principio guida in neurologia

Esistono centinaia, se non migliaia, di pubblicazioni sottoposte a revisione paritaria che documentano il coinvolgimento della regolazione ventrale vagale del cuore (monitorata attraverso parametri di HRV e soprattutto RSA). In questi studi, il ritiro sistematico delle “nuove” azioni pro-omeostatiche calmanti vagali ventrali, si verifica durante contesti che richiedono il reclutamento di risorse metaboliche per muoversi, inclusi comportamenti di lotta-fuga, malattie mentali e fisiche, sfide psicologiche (ad esempio, sforzo mentale, attenzione prolungata) e l’anticipazione per muoversi quando si sperimentano sentimenti di minaccia. Al contrario, i sentimenti di sicurezza sembrano essere paralleli a un SNA in uno stato più flessibile, che consente al movimento di essere integrato con altre forme di co-regolazione, che coinvolgono attributi del sistema di ingaggio sociale. Fornendo così il substrato autonomico che discriminerebbe il gioco dalla difesa. 

Sebbene la letteratura sia molto più limitata, sembra esserci documentazione di una risposta di difesa di immobilizzazione a segnali di minaccia per la vita, che innescano una risposta di finta morte (ad esempio, il topo nelle fauci di un gatto, ratti) che includono una riduzione del tono neuromuscolare e la riduzione associata dell’attivazione autonomica, che è stata ipoteticamente collegata alle influenze vagali dorsali sulla frequenza cardiaca, sulla contrattilità e sulla motilità intestinale. Non dovrebbe sorprendere che gli individui il cui sistema nervoso ha risposto come se fossero in pericolo di vita, spesso hanno un sistema nervoso autonomo risintonizzato con caratteristiche di disregolazione autonomica, in particolare problemi intestinali. Potenzialmente, i sintomi intestinali possono essere il prodotto di un circuito vagale ventrale smorzato che ha comportato una vulnerabilità del circuito vagale dorsale reclutato in difesa.

Il Principio 3 è utile per ridefinire i costrutti psicologici di stress e ansia come stati fisiologici che supportano la difesa. In breve, la TPV definirebbe lo stress, l’ansia o qualsiasi esperienza correlata alla minaccia come un’interruzione della funzione omeostatica. Sebbene la TPV fosse inizialmente focalizzata sui cambiamenti transitori legati alle sfide acute nello stato autonomico, la teoria fornisce approfondimenti sugli stati cronici e sulle malattie. Propone che la resilienza del sistema nervoso autonomo possa essere attenuata o risintonizzata per essere cronicamente bloccata in stati di difesa. Ipoteticamente questa potrebbe essere la conseguenza di un’esperienza pericolosa per la vita con sintomi, che persisterebbero anche quando il corpo non è stato ferito fisicamente o anche dopo che il corpo è guarito. Questa sequenza sembra riflettere un sistema nervoso che è adattivamente riluttante ad abbandonare le sue difese. Esempi di ciò sono stati riportati come conseguenza di una storia di gravi avversità, in cui la regolazione del sistema nervoso autonomo è passata da un algoritmo che supporta le funzioni omeostatiche a uno che supporta la difesa a tutti i costi. I terapeuti del trauma hanno familiarità con queste osservazioni in cui i pazienti reagiscono in modo difensivo, quando sono socialmente ingaggiati attraverso la vicinanza e persino il contatto visivo. In questi casi, il sistema nervoso ottimizza la difesa a scapito del sostegno dei processi omeostatici di salute, crescita, ristoro e socialità.

17.5. Principio 4.  La migrazione ventrale dei neuroni cardioinibitori porta a un circuito integrato del tronco encefalico (complesso vagale ventrale) che consente la coordinazione di suzione-deglutizione-respirazione-vocalizzazione, un circuito che costituisce il substrato neurofisiologico per un sistema integrato di ingaggio sociale 

La TPV è interessata al processo attraverso il quale la migrazione ventrale dei neuroni cardioinibitori si integra nella regolazione dei muscoli striati del viso e della testa. Questo è un evento critico che consente ai mammiferi di allattare e di segnalare al caregiver. È interessante notare che questo sistema sembra aver fornito i meccanismi fondamentali che hanno consentito ai mammiferi di coregolarsi e di comunicare con i conspecifici. La TPV ipotizza che la migrazione ventrale abbia aperto la strada alla socialità dei mammiferi, consentendo alla co-regolazione e alla fiducia di diventare un punto culminante del comportamento umano, nonché il sistema più messo a dura prova quando il sistema nervoso autonomo passa a uno stato di difesa. È un sistema che può essere letteralmente monitorato in tempo reale studiando i modelli di frequenza cardiaca nei neonati umani prematuri (vedi sopra). Il sistema di ingaggio sociale, attraverso l’espressione dello stato autonomo di calma nelle vocalizzazioni e nelle espressioni facciali, è un potente stimolo attraverso la neurocezione (vedi Principio 5) per i mammiferi per ridurre la regolazione delle reazioni alla minaccia e diventare un portale per segnalare sicurezza ai conspecifici. Questa intuizione è spesso compresa da terapeuti, genitori, insegnanti, amici e proprietari di animali domestici mentre usano la voce e i gesti per proiettare il proprio stato di calma per calmare gli altri.

17.6. Principio 5. La neurocezione: la rilevazione riflessiva del rischio innesca uno stato autonomico adattivo per ottimizzare la sopravvivenza

Il costrutto di un “algoritmo” è stato selezionato per enfatizzare che le firme autonomiche relative alla navigazione in contesti sicuri, pericolosi o minacciosi per la vita sono fondamentalmente script riflessivi del tronco encefalico. La neurocezione è l’ipotetico processo attraverso il quale vengono attivati ​​questi script. Secondo la TPV questi script risiedono nell’area del tronco cerebrale che regola i meccanismi fondamentali di sopravvivenza. Negli esseri umani e in altri mammiferi sociali, questi script sono attivati ​​da strutture cerebrali superiori, che elaborano le informazioni al di fuori della consapevolezza. Essendo riflessivi, questi processi non sono ostacolati dall’intenzionalità e dalla valutazione cognitiva. Dal punto di vista adattivo, se lo fossero, le decisioni sarebbero lente e potenzialmente incerte, e la sopravvivenza potrebbe essere compromessa. Per enfatizzare l’indipendenza di questi processi distinti dalla consapevolezza e dall’intenzione, TPV ha introdotto il costrutto della neurocezione, che “rileva” e innesca meccanismi fondamentali di sopravvivenza. Poiché la neurocezione non implica percezione o valutazione della causalità, la neurocezione non può essere modificata attraverso canali cognitivi. La neurocezione, comprese le presunte relazioni con la corteccia temporale e il grigio periacqueduttale, è stata descritta altrove e riassunto sopra [78,79]. 

18. Lo stato attuale della Teoria Polivagale

 Il fondamento della TPV si basa sui principi elencati (vedi Tabella 1) estratti da una letteratura scientifica validata. La validità della teoria dovrebbe basarsi sull’utilità di questi principi nel fornire spiegazioni plausibili per chiarire l’esperienza umana. La teoria è informata da diverse discipline (ad esempio, l’evoluzione, la neuroanatomia comparata, la neurofisiologia cardiopolmonare), sebbene la TPV non sia stata strutturata per rispondere a domande o testare ipotesi rilevanti per queste discipline. La teoria dovrebbe essere valutata sulla base delle domande scientifiche che hanno stimolato la ricerca per comprendere il “paradosso vagale”, come inquadrato nella presentazione della teoria e del fondamento scientifico da cui sono stati estratti i cinque principi di cui sopra. La teoria si concentra sul ruolo del sistema nervoso autonomo come variabile interveniente ed esplora l’impatto delle sfide dirompenti sulle funzioni omeostatiche. Il modello incorporato nella teoria, enfatizzando il sistema nervoso autonomo come variabile interveniente, espande le questioni di ricerca clinicamente rilevanti dal test di ipotesi di causa ed effetto alle domande su come la regolazione neurale del sistema nervoso autonomo media la reattività e il recupero dalle sfide. Pertanto, questo modello di mediazione potrebbe essere concettualizzato come un algoritmo neurale funzionale.

I principi della Teoria Polivagale <br>
Tabella 1. I principi della Teoria Polivagale

Considerate le solide basi scientifiche, nella letteratura scientifica sono state avanzate poche critiche. Come affermato sopra, quasi 30 anni fa la presentazione iniziale della teoria era strutturata come una sfida rivolta ai colleghi per espandere, perfezionare o confutare le caratteristiche della presentazione con l’obiettivo ottimistico e collaborativo di acquisire una migliore comprensione di come lo stato autonomico fosse correlato all’esperienza umana. In generale, la comunità scientifica e clinica ha accolto con favore la TPV come una prospettiva innovativa che collega il sistema nervoso autonomo con la salute e l’esperienza umana. Coerentemente con questa accettazione, durante questo periodo diverse borse di studio peer-reviewed del National Institute of Health hanno supportato la mia ricerca esplorando la rilevanza clinica della TPV. Tuttavia, ce ne furono alcuni che criticarono la teoria senza rappresentarla accuratamente.

Le loro critiche si trasformarono in un classico argomento fantoccio (dall’inglese “strawman argument” che indica una fallacia logica che consiste nel confutare un argomento proponendone una rappresentazione errata o distorta, n.d.T.) secondo cui la teoria non aveva una base scientifica. Le critiche non si basavano su disaccordi interpretativi ma erano formulate come affermazioni di falsificazione della teoria. Né le loro critiche erano rilevanti per le domande e le ipotesi fondamentali legate alla teoria. L’indagine delle loro critiche ha identificato due punti importanti: 1) le loro critiche erano basate su rappresentazioni imprecise della teoria e 2) le loro critiche erano irrilevanti per la teoria e per le domande che stimolavano la strutturazione della teoria. Quindi, coerentemente con la struttura classica di un argomento fantoccio, le loro false dichiarazioni furono ripetutamente presentate come prova che la teoria era insostenibile. Questi argomenti furono inizialmente seminati circa 20 anni fa [59]. È seguita una risposta [83], tentando di correggere le loro incomprensioni sulla teoria, inclusa la documentazione che la loro proposta di teoria di “sostituzione” per la TPV era un’estrazione parafrasata delle caratteristiche della TPV senza riconoscimento. Il loro argomento fantoccio si dissolve una volta che le congetture sulla TPV vengono documentate come false. Di seguito sono riepilogati alcuni esempi delle loro numerose false dichiarazioni sul TPV. Sfortunatamente, questi stessi scienziati continuano a travisare la teoria e a sostenere punti non correlati ai principi incorporati nella TPV. 

Ora, circa 30 anni dopo la presentazione iniziale della teoria, il presente articolo tenta di chiarire la TPV, fornendo principi accessibili e una revisione aggiornata della letteratura scientifica di supporto. Un ulteriore obiettivo dell’articolo è documentare esplicitamente che le critiche principali alla TPV si concentrano su una neurofisiologia che non è coerente o addirittura rilevante per la teoria. Si spera che il futuro dialogo e dibattito scientifico, invece di consistere in argomenti fantoccio, rappresenterà in modo più accurato la TPV e la sfiderà attraverso strategie più tradizionali come la verifica di ipotesi e spiegazioni alternative della letteratura.

TPV definisce la RSA come una forma di accoppiamento cardio-respiratorio nei mammiferi.
Nel 2005 il gruppo di ricerca di Taylor pubblicò un primo articolo che travisava la teoria [85], “L’aritmia sinusale respiratoria si verifica nei pesci?” Di seguito è riportata una citazione da questo articolo.
Oltre a questi dati sui pesci, è stato osservato che molti anfibi e rettili, caratterizzati da una respirazione discontinua, mostrano strette correlazioni tra l’inizio di un attacco respiratorio e una tachicardia istantanea, il che implica una prevaricazione dell’integrazione nervosa centrale del loro sistema cardio-respiratorio. (Burggren 1987). Tuttavia, Porges (1995) ha proposto che l’accoppiamento cardio-respiratorio sia limitato ai mammiferi. p.484.

La PVT non presuppone che l’accoppiamento cardio-respiratorio sia limitato ai mammiferi. Il gruppo di Taylor ha ripetuto la sua imprecisa ipotesi secondo cui l’RSA dei mammiferi è equivalente ad altre forme di interazione respiratoria-frequenza cardiaca non mammifera. Non riconoscendo le differenze neuroanatomiche e neurofisiologiche uniche tra RSA e frequenza cardiaca e frequenza respiratoria in altri vertebrati, presumono che la documentazione di qualsiasi forma di interazione fra frequenza cardiaca e frequenza respiratoria in specie diverse dai mammiferi documenterebbe che la TPV è imprecisa. Di seguito è riportata una citazione dal loro articolo sui serpenti a sonagli in cui la TPV è travisata [86].
Ciò ha portato alla conclusione che la RSA non esiste nei vertebrati non mammiferi e costituisce la base della teoria polivagale (Porges, 2003). p. 2635
Questi dati [l’osservazione di un modello respiratorio nel modello della frequenza cardiaca in un serpente a sonagli] confutano la proposizione secondo cui l’accoppiamento cardiorespiratorio controllato centralmente è limitato ai mammiferi, come proposto dalla teoria polivagale di Porges (Porges, 1995; Porges, 2003). p. 2635. 

Queste affermazioni sono palesemente false. Dal momento che ne deducono che se l’accoppiamento cardio-respiratorio non può essere limitato ai mammiferi, questo diventa un difetto critico nella TPV. Seguendo la loro logica, le osservazioni sull’accoppiamento frequenza cardiaca-respirazione in altre specie di vertebrati non sarebbero coerenti con la teoria. La loro logica contorta funziona bene SOLO se il termine RSA viene ridefinito per includere tutte le forme di accoppiamento frequenza cardiaca-respirazione osservate nei vertebrati. Quindi, poiché la TPV utilizza il costrutto di RSA, potrebbero presumere che qualsiasi affermazione riguardante l’unicità di RSA come essere mammifero sarebbe falsa. Questa argomentazione inesatta continua ad essere espressa (vedi Rif. [36].  Sfortunatamente, hanno mancato due punti importanti sulla relazione tra RSA e TPV: 1) le specifiche vie vagali che mediano l’accoppiamento cardio-respiratorio nei mammiferi (cioè RSA), a differenza dei loro vertebrati ancestrali, hanno origine nel vago ventrale, e 2) la RSA è un portale per la funzione del vago ventrale, che consente la verifica di ipotesi informate dal polivagale, ma non è un costrutto fondamentale della teoria.

Ho risposto [83] a uno dei loro primi travisamenti [59] nella citazione qui sotto.
Questa affermazione lascia perplessi, poiché la restrizione specifica dell’accoppiamento cardiorespiratorio ai mammiferi non è stata affermata nella Teoria Polivagale. Inoltre, come discusso nel commento, dal punto di vista polivagale, la RSA è un’interazione cardiorespiratoria unica nei mammiferi, perché dipende dal deflusso del vago mielinizzato che ha origine nel nucleo ambiguo. Ciò non preclude le interazioni cardiorespiratorie che coinvolgono il vago non mielinizzato che ha origine nel nucleo motore dorsale del vago in altri vertebrati.

 Le fibre vagali cardioinibitorie mielinizzate originanti dal nucleo ambiguo sono una caratteristica distintiva della transizione filogenetica dagli antichi rettili estinti da tempo ai mammiferi. Il gruppo di ricerca di Taylor, pur riconoscendo che nei mammiferi le fibre vagali mielinizzate cardioinibitorie provengono prevalentemente dal nucleo ambiguo, ha continuato a esprimere un malinteso sul ruolo nella TPV delle fibre vagali mielinizzate. Hanno sostenuto che l’identificazione di vie vagali cardioinibitorie mielinizzate in specie diverse dai mammiferi smentisce la teoria. In una rappresentazione imprecisa della TPV, hanno pubblicato un articolo intitolato “Le interazioni cardiorespiratorie precedentemente identificate come mammifere sono presenti nei dipnoi primitivi” [49]. Di seguito è riportata una citazione da quel documento che rappresenta in modo impreciso la TPV.
Egli [Porges] individua una progressione filogenetica dalla regolazione del cuore mediante comunicazione endocrina, ai nervi non mielinizzati, e infine ai nervi mielinizzati, che si riscontrano esclusivamente nei mammiferi e si ostina ad affermare che “solo i mammiferi hanno il vago mielinizzato”, collegando ciò all’evoluzione del NA [nucleo ambiguo]. Il presente studio rivela che i meccanismi che egli identifica come esclusivamente mammiferi sono innegabilmente presenti nei dipnoi, che si trovano alla base evolutiva dei vertebrati che respirano aria. p. 7.

Si noti che la TPV si concentra sul ruolo delle vie vagali mielinizzate, che hanno origine nel vago ventrale (cioè il nucleo ambiguo), che nei mammiferi hanno un ritmo respiratorio in contrasto con le vie che hanno origine nel nucleo motore dorsale del vago. Recentemente, un argomento simile è stato utilizzato citando uno studio che documentava una via vagale mielinizzata che ha origine nel nucleo motore dorsale del vago nelle pecore  [84], sebbene lo studio non abbia identificato la funzione di queste fibre né documentato che l’output funzionale fosse accoppiato con la respirazione.

Nelle citazioni di cui sopra noi testimoniamo come il concetto di RSA sia stato generalizzato come termine per l’accoppiamento frequenza cardiaca-respirazione tra le specie di vertebrati. Vediamo anche come le precedenti affermazioni sulle caratteristiche uniche della RSA nei mammiferi possano essere ricostruite e distorte. In questa manifestazione, la parola mielinizzata viene riproposta dall’essere associata SOLO nei mammiferi con vie cardioinibitorie, che mostrano un pattern respiratorio che ha origine nel nucleo vagale ventrale, ad una caratteristica generale dell’interazione cardiorespiratoria indipendente dal nucleo di origine (cioè, nucleo motore dorsale o nucleo ventrale del vago) e infine indipendente dalla funzione.

Il gruppo di Taylor ha continuato a utilizzare la ridefinizione di RSA in rappresentazioni imprecise della teoria.

Diversi autori hanno dimostrato che l’HRV correlato alla respirazione è presente in specie di anfibi, rettili [ad esempio serpenti a sonagli] e uccelli [anatre e berte]. Pertanto, la ripetuta affermazione, centrale nella teoria polivagale, secondo cui le basi strutturali e funzionali della RSA sono esclusivamente di origine mammifera, è chiaramente fallace ([49], pagina 8).

Questi risultati non forniscono supporto alla cosiddetta “teoria polivagale” di Porges, in cui l’autore sostiene che l’aritmia sinusale respiratoria e la sua base nel controllo parasimpatico del cuore è esclusivamente nei mammiferi [86].

Tuttavia, il promotore della teoria polivagale ha recentemente affermato che: “solo i mammiferi hanno il vago mielinizzato” [86].

Il gruppo di Taylor, pur rappresentando in modo impreciso la TPV, non è riuscito a riconoscere le caratteristiche descrittive della teoria, secondo cui la RSA nei mammiferi dipende da vie vagali cardioinibitorie mielinizzate che hanno origine nel vago ventrale e NON da vie vagali cardioinibitorie non mielinizzate (o potenzialmente mielinizzate), che hanno origine nel vago dorsale . Questa dichiarazione descrittiva non preclude l’identificazione delle fibre vagali mielinizzate cardioinibitorie nelle specie di vertebrati. La dichiarazione sottolinea la distribuzione nei mammiferi delle fibre vagali mielinizzate cardioinibitorie, che hanno origine prevalentemente nel nucleo vagale ventrale e NON nel nucleo motore dorsale del vago. La migrazione ventrale dei neuroni vagali cardioinibitori ,che culmina nel raggruppamento di questi neuroni nel vago ventrale, mappato nella filogenesi, è stata documentata dalla fine degli anni ’70 [38].

La loro affermazione secondo cui la TPV afferma che solo i mammiferi hanno percorsi vagali mielinizzati è imprecisa. Anche nell’articolo originale sulla TPV [1] c’è una forte enfasi sul fatto che la fonte primaria delle vie vagali cardioinibitorie mielinizzate nei mammiferi hanno origine nel nucleo vagale ventrale.

La teoria polivagale sostiene che [nei mammiferi] le fibre vagali del DMNX e del NA sono distinguibili nella struttura e nella funzione. Nello specifico, è stato affermato che le fibre efferenti vagali del NA [il nucleo ambiguo è il nucleo vagale ventrale] sono mielinizzate e contengono un ritmo respiratorio e le fibre efferenti vagali del DMNX [nucleo motore dorsale del vago] non sono mielinizzate e non esprimono un ritmo respiratorio. (Porges, 1995, pp 307–308 [1]).

Questa affermazione è coerente con l’attuale ricerca neurofisiologica  [5], che descrive le vie vagali nei mammiferi e non contraddice i resoconti di una via vagale mielinizzata dal vago dorsale nei pesci polmonari o la citazione di una via vagale presente nelle pecore. Sebbene interessanti, questi risultati sono irrilevanti per la teoria e non ne costituiscono una prova.

Taylor e colleghi hanno anche messo in dubbio l’ipotesi che il nucleo motore dorsale del vago sia una struttura evolutivamente più antica del vago ventrale. È stato documentato in modo attendibile che prima dei mammiferi i principali neuroni vagali cardioinibitori dei vertebrati avevano origine nel nucleo motore dorsale del vago. Pertanto, è indiscutibile che, stimando una linea temporale evolutiva attraverso la filogenesi, i neuroni cardioinibitori abbiano avuto origine prima nel nucleo motore dorsale del vago e poi in linea con il lavoro di Taylor siano migrati ventralmente. Nei primi mammiferi (ora estinti) questa migrazione ventrale era sufficientemente completa da incorporare funzioni cardioinibitorie con attività di neuroni branchiomotori (cioè speciali vie efferenti viscerali), che regolano i muscoli striati del viso e della testa, promuovendo l’ingestione (ad esempio l’allattamento) e la comunicazione sociale attraverso l’espressione facciale e le vocalizzazioni.

Inspiegabilmente si è sostenuto che una riconversione del sistema nervoso autonomo che supporti la socialità è un presupposto impreciso, una conclusione che sarebbe incoerente con il ruolo critico dell’accudimento/allattamento nei mammiferi come comportamento sociale e con la sua dipendenza dalla migrazione ventrale dei neuroni cardioinibitori. O, più in generale, come l’alimentazione venga utilizzata per addomesticare e calmare (cioè socializzare) i mammiferi domestici di diverse specie. Grossman, un collaboratore di Taylor, sostiene questo punto citando un articolo in un numero speciale di Biological Psychology [84] da lui curato. L’articolo sostiene che la TPV non apprezza il comportamento sociale dei vertebrati non mammiferi [87]. Gli autori sostengono che la TPV descrive in modo inappropriato i rettili come asociali, poiché i rettili hanno comportamenti sociali. Queste critiche sono irrilevanti per la TPV, che è incentrata sui mammiferi. La socialità attraverso una lente polivagale si concentra sulle qualità trasformative del comportamento sociale espresso nei mammiferi come le interazioni madre-bambino e altri comportamenti co-regolatori, che hanno un profondo impatto sul calmare lo stato autonomico per ottimizzare le funzioni omeostatiche. Questa continuazione dell’argomentazione fantoccio non significa solo applicare la teoria a questioni di un’altra disciplina, ma ad una questione (ad esempio, il comportamento sociale nei rettili) che è stata esplicitamente dichiarata al di fuori dell’ambito della teoria.

Nella citazione sotto riportata Taylor e il suo gruppo riconoscono la definizione della teoria della RSA dei mammiferi come limitata al vago ventrale e alle fibre cardioinibitorie mielinizzate. Tuttavia, in modo contorto, confondono le distinzioni anatomiche e funzionali dei nuclei vagali dorsale e ventrale che si sono verificate attraverso l’evoluzione, postulando un vago ventrale primitivo senza riconoscere le limitazioni funzionali di questa ipotetica struttura anatomica  [89]..
La “teoria polivagale” ha suggerito che il controllo battito per battito di fH [il ritmo della frequenza cardiaca] che genera RSA è limitato ai mammiferi, che hanno sviluppato percorsi vagali mielinizzati, che hanno origine nel NA [nucleo ambiguo] (Porges 2003; Porges et al. 2003). Tuttavia, la CRS [sincronia cardiorespiratoria] è stata segnalata sia nello spinarolo a riposo (Taylor 1992) che nella trota ipossica (Randall e Smith 1967), ed entrambe le specie hanno CVPN [neuroni pregangliari cardiaci specifici] localizzati sia nel DVN [nucleo motore dorsale del vago] e in una posizione ventrolaterale esterna al DVN che può costituire un NA primitivo [nucleus ambiguus] (Taylor 1992).

La generalizzazione dei meccanismi comuni alla base delle interazioni frequenza cardiaca-respirazione tra le specie di vertebrati presenta i suoi limiti. L’evoluzione ha riproposto e modificato il modo in cui il sistema nervoso autonomo dei mammiferi è strutturato e funziona. Se non riconoscessimo la riconversione evolutiva delle strutture saremmo vulnerabili alle critiche, perché accetteremmo la teoria della “ricapitolazione”; una teoria confutata, che presuppone che l’evoluzione non solo preservi la struttura, ma anche la funzione.

L’RSA è stato storicamente utilizzato per descrivere il ritmo della frequenza cardiaca dei mammiferi. Ha una storia di utilizzo che è stata agnostica rispetto alle interazioni frequenza cardiaca-respirazione di altri vertebrati. In effetti, Taylor nei suoi articoli precedenti (cioè prima del 2000) usa il termine RSA solo quando parla di mammiferi. Sebbene le interazioni respirazione-frequenza cardiaca siano altamente conservate durante l’evoluzione e persino evidenziate nei mammiferi, i meccanismi sottostanti sono stati modificati attraverso l’evoluzione (ad esempio, Rif. [51]) Questi punti sono enfatizzati nella TPV ed elaborati in questo documento. La fondazione della TPV si concentra sulle conseguenze strutturali e funzionali delle modifiche, avvenute nei mammiferi, di questo sistema altamente conservato. Questo punto è stato affermato inequivocabilmente nel titolo del documento che introduce la TPV  [1] – Orientarsi in un mondo difensivo: modificazioni mammaliane del nostro patrimonio evolutivo. Una teoria polivagale.

Gli argomenti fantoccio presentati sopra sono false rappresentazioni documentate della TPV e non un dibattito scientifico relativo alle ipotesi e alle inferenze generate dalla teoria. Nel decostruire le loro argomentazioni fantoccio, notiamo che la loro prospettiva miope presuppone che la teoria sia stata sviluppata per rispondere a domande nelle loro aree di interesse, che spesso non sono correlate al focus della TPV. Questa prospettiva impedisce loro di porre domande rilevanti per la TPV. Ciò non preclude la rilevanza della TPV come veicolo esplicativo per interpretare il proprio lavoro. Ad esempio, gran parte della ricerca di Grossman sull’RSA può essere spiegata dalla TPV; un punto documentato in un articolo di Grossman e Taylor [59]  in cui gli aspetti della TPV sono stati parafrasati e presentati come un nuovo modello senza attribuzione.

Sulla base di queste argomentazioni fantoccio ci sono state critiche audaci infondate alla TPV, che suggeriscono che la teoria è speculativa e non supportata dalla scienza. Tali affermazioni sono incoerenti con una letteratura immensa e in espansione a sostegno delle caratteristiche della TPV. In superficie, la teoria è stata citata migliaia di volte come supporto alla ricerca condotta da ricercatori indipendenti. Tuttavia, questa è una grossolana sottostima del valore esplicativo della teoria. Indagando la letteratura sulla reattività autonomica attraverso una lente polivagale, possiamo esplorare se i risultati degli studi possono essere spiegati dai principi incorporati nella TPV, anche se la TPV non è stata citata nello studio. Questa strategia è stata implementata in una revisione sistematica che documenta l’impatto delle pratiche contemplative sul tono vagale ventrale, che è stato valutato da una prospettiva polivagale [90]6.

Come sottolineato nei principi, la gerarchia ordinata filogeneticamente delineata sinteticamente, che coinvolge le strutture del tronco encefalico che regolano lo stato autonomico, fornisce una mappa stradale plausibile della reattività autonomica umana fornendo esempi di caratteristiche biocomportamentali associate a ciascuno dei tre principali percorsi autonomici. La semplicità di incorporare nella TPV questa gerarchia incontestabile con il principio jacksoniano di dissoluzione è stata trasformativa nello spiegare le conseguenze biocomportamentali delle avversità nel trattamento delle sfide di salute mentale. Inoltre, questi principi stanno permeando il trattamento dei pazienti in medicina e degli studenti in ambito educativo.

Da una prospettiva polivagale, i numerosi studi che documentano o testano ipotesi relative allo stato autonomico come intervento, risposta o variabile di differenza individuale stanno implicitamente testando gli attributi della TPV. La revisione della letteratura attraverso la lente della TPV fornisce spiegazioni plausibili e percorsi neurofisiologici che mediano i risultati. Ad esempio, la TPV fornisce spiegazioni plausibili di studi che strutturano protocolli per valutare i seguenti processi.
1. Lo stato autonomico funziona come una variabile interveniente (mediatrice) (Principio 1),
2. La Variazioni della frequenza cardiaca e dell’RSA durante la sfida (Principi 2 e 3).
3.L’efficienza del freno vagale è correlata ai sintomi clinici (Principi 3 e 4).
4. L’impatto della stimolazione del nervo vago sulla regolazione dello stato autonomico e sul comportamento sociale (Principi 4).
5. Lo stato autonomico influenza le reazioni (neurocezione) lungo un continuum di rischio (Principio 5).

19. Conclusione 

Il metodo scientifico cerca di distinguere i punti validi dalle congetture. Le teorie fioriscono solo se sono utili nel descrivere fenomeni che possono informare le indagini future. Naturalmente, le teorie devono essere modificate e informate dalla ricerca empirica e, quando necessario, sostituite da teorie alternative, che siano più efficaci nello spiegare i fenomeni che si verificano in natura. Se utilizziamo questo come standard accettabile, la Teoria Polivagale fornisce un modello verificabile, che descrive come il sistema nervoso autonomo dei mammiferi reagisce alla minaccia e alla sicurezza. La teoria fornisce specificamente una comprensione delle caratteristiche fondamentali del sistema nervoso autonomo dei mammiferi necessarie per co-regolare e fidarsi degli altri. Fornisce inoltre approfondimenti sulle conseguenze dello stato autonomico per la salute mentale e fisica. Forse, la cosa più importante è che la teoria dà voce alle esperienze personali di individui, che hanno subito minacce croniche (ad esempio traumi e abusi) o malattie e struttura un viaggio ottimistico verso una salute mentale e fisica più ottimale. È questo nucleo, descritto dalla TPV, che collega il nostro imperativo biologico di connetterci con gli altri ai percorsi neurali, attraverso la neurocezione, che calmano il nostro SNA. Questi sistemi, nel contesto della fisiologia dei mammiferi, sono processi fondamentali attraverso i quali le esperienze comportamentali possono portare alla socialità e alla salute, alla crescita e al ristoro ottimali. In futuro, senza le distrazioni delle argomentazioni fantoccio, esiste una possibilità ottimistica di un livello più informato di discorso scientifico, che esplorerebbe ulteriormente le importanti relazioni tra il SNA e l’esperienza umana che sono state evidenziate dalla Teoria Polivagale. 

Finanziamento

Questo lavoro è stato sostenuto da donazioni al Traumatic Stress Research Consortium da parte della Fondazione Chaja e dell’Associazione degli Stati Uniti per la psicoterapia corporea.

Dichiarazione dell’autore

Stephen W. Porges è l’unico autore del manoscritto intitolato The Vagal Paradox: A Polyvagal solution. È l’unico responsabile della concettualizzazione, scrittura, metodologia e rappresentazione di tutte le informazioni intellettuali descritte nel manoscritto.

Dichiarazione di interesse concorrente

Gli autori dichiarano i seguenti interessi finanziari/rapporti personali che possono essere considerati potenziali interessi concorrenti. Ricevo una royalty da Integrated Listening System/Unyte per la concessione in licenza della tecnologia nel protocollo Safe and Sound.

Ringraziamenti

Un ringraziamento speciale va a Sue Carter per i suggerimenti editoriali e per avermi incoraggiato a formalizzare le idee presentate in questo manoscritto.

 Note

  1. A.V. Gourine, A. Machhada, S. Trapp, K.M.Spyer, Cardiac vagal preganglionic neurones: an update,
    Auton. Neurosci., 199 (2016), pp. 24-28, 10.1016/j.autneu.2016.06.003Il sistema nervoso autonomo controlla il cuore mediante il reclutamento e il ritiro dinamico delle attività parasimpatiche e simpatiche cardiache. Queste attività sono generate da gruppi di neuroni pregangliari simpaticoeccitatori e vagali che risiedono in stretta prossimità tra loro all’interno di strutture ben definite del tronco encefalico. Questo breve saggio fornisce una panoramica generale e un aggiornamento sugli ultimi sviluppi nervosi nella nostra comprensione delle origini centrali e del significato funzionale del tono vagale cardiaco. Prove sperimentali significative suggeriscono che gruppi distinti di neuroni pregangliari vagali cardiaci con diversi modelli di attività controllano il tessuto nodale (controllando la frequenza cardiaca e la conduttanza atrioventricolare) e il miocardio ventricolare (modulando la sua contrattilità ed eccitabilità). Popolazioni distinte di cVPN (neuroni pregangliari vagali cardiaci), che risiedono nella NA e nella DVMN e che mostrano diversi modelli di attività forniscono un controllo differenziale della funzione cardiaca. Le proiezioni dei neuroni NA controllano il tessuto nodale e forniscono una modulazione di contenimento cruciale della frequenza cardiaca. L’attività ritmica dei neuroni NA è trascinata dalla vicina rete respiratoria ed è alla base dell’aritmia respiratoria sinusale. ↩︎
  2. G. Vogel, Got milk? Even the first mammals knew how to suckle.
    I mammiferi succhiano. La capacità di succhiare il latte è una caratteristica distintiva del gruppo e non è un’impresa da poco nell’evoluzione. L’allattamento al seno, così come il bere con una cannuccia, richiede un’anatomia complessa per sigillare le vie aeree ogni volta che succhiamo e deglutiamo.
    Ma un ramo di mammiferi non allatta: i monotremi che depongono uova, tra cui l’ornitorinco e l’echidna di oggi, o formichiere spinoso. Questi animali non hanno capezzoli. I loro cuccioli invece leccano o bevono il latte dalle aree sulla pelle della madre, da cui sbucano le ghiandole mammarie. Si ritiene che i monotremi si siano differenziati dagli altri mammiferi circa 190 milioni di anni fa, quindi la maggior parte dei paleontologi ha ritenuto che l’allattamento si sia evoluto dopo quella divisione. Ora, uno sguardo ravvicinato agli animali moderni e ai fossili chiave risalenti a prima della scissione suggerisce che gli antenati monotremi dopo tutto potevano allattare, ma in seguito gli animali persero la capacità, man mano che le loro bocche si sono evolute per mangiare prede dal guscio duro. La scoperta “pone una nuova luce sui monotremi” e suggerisce che l’allattamento faceva parte del pacchetto originale dei mammiferi, afferma il paleontologo e anatomista funzionale Alfred “Fuzz” Crompton dell’Università di Harvard, che ha condotto i nuovi studi.

    Il lavoro è “incredibilmente interessante e davvero importante” per comprendere l’evoluzione dei mammiferi, afferma la neurofisiologa Rebecca German della Northeast Ohio Medical University di Rootstown. “Stanno cominciando a comprendere la parte dell’anatomia che è fondamentale per l’alimentazione infantile”. Precedenti ricerche di Crompton e altri hanno identificato una serie di muscoli che svolgono un ruolo chiave nella suzione. Uno, chiamato tensore del velo palatino, si estende dalla base delle orecchie fino ai bordi del palato molle, il tessuto che forma la parte posteriore del tetto della bocca. Quando succhi una cannuccia, questo muscolo tira il palato molle in modo che la lingua possa formare un sigillo stretto con il tetto della bocca. Quando la parte anteriore della lingua si abbassa, la bocca diventa un’area di bassa pressione e si aspira il liquido.
    Più recentemente, per comprendere meglio come si è evoluto il lattante, Crompton e i suoi colleghi hanno analizzato le teste di opossum, ornitorinchi e varani nordamericani, nonché teschi fossili. Al 5° Congresso Paleontologico Internazionale svoltosi qui la scorsa settimana, la coautrice di Crompton, la tecnica ricercatrice Catherine Musinsky, ha descritto l’anatomia di due antenati dei mammiferi: il Thrinaxodon, vissuto circa 250 milioni di anni fa, e il Brasilitherium, vissuto circa 220 milioni di anni fa, entrambi prima del primo antenato comune dei mammiferi viventi. (Si pensa che quell’animale sia vissuto all’inizio del Giurassico, iniziato circa 200 milioni di anni fa.)
    Ai rettili moderni manca il tensore del velo palatino e sembra che nemmeno Thrinaxodon ne avesse uno. Ma a Brasilitherium, i ricercatori hanno scoperto che la forma delle ossa e le cicatrici a cui si attaccavano i muscoli suggeriscono che fosse presente una versione primitiva del muscolo. Ciò, insieme ad altre prove, li ha portati alla sorprendente conclusione che questo antico parente dei mammiferi potrebbe probabilmente formare un sigillo stretto tra la lingua e il palato e potrebbe aver allattato. L’idea “è molto ben supportata” dalla combinazione dei ricercatori tra anatomia moderna e prove fossili, afferma il paleontologo Zhe-Xi Luo dell’Università di Chicago, nell’Illinois, che ha anche esaminato attentamente il Brasilitherium.
    Poiché l’allattamento è una delle caratteristiche distintive dei mammiferi, in quanto consente ai neonati di accedere in modo efficiente a cibo di alta qualità e ad alto contenuto calorico, gli antenati dell’ornitorinco si sono trovati di fronte a un compromesso potenzialmente costoso quando hanno rinunciato a questo cibo per un’alimentazione specializzata. ↩︎
  3. L. Geggel, Meet the ancient reptile that gave rise to mammals, 2016.
    Un gruppo di ricerca dell’Università Federale del Rio Grande do Sul in Brasile ha ritrovato i possibili di due nuovi cinodonti del primo Triassico superiore nel Brasile meridionale. I cinodonti, che sembravano ratti squamosi, vagavano per il Brasile 235 milioni di anni fa, probabilmente cibandosi di insetti che i predatori catturavano con i loro denti appuntiti.
    L’analisi di due nuove specie di cinodonti, un gruppo che ha dato origine a tutti i mammiferi viventi, fa luce su come i mammiferi si sono sviluppati da queste creature del tardo Triassico, hanno detto i ricercatori. I cinodonti sono antecedenti ai dinosauri, e apparvero per la prima volta nella documentazione fossile circa 260 milioni di anni fa, durante il periodo Permiano. I loro discendenti includono mammiferi marsupiali e placentari (le creature pelose solitamente considerate mammiferi), così come monotremi, mammiferi che depongono uova invece di dare alla luce piccoli vivi, come l’ornitorinco e l’echidna, hanno detto i ricercatori.
    Tuttavia, entrambi i cinodonti vissero milioni di anni prima della comparsa del primo mammifero conosciuto: una creatura simile a un toporagno che visse circa 160 milioni di anni fa in quella che oggi è la Cina.
    Un recente studio “Jurassic fossil juvenile reveals prolonged life history in early mammals” pubblicato su Nature a luglio 2024 da un team internazionale di ricercatori guidato dalla paleobiologa Elsa Panciroli del National Museums Scotland e dell’University of Oxford Museum of Natural History, ha analizzato con tecniche di imaging a raggi X ad alta tecnologia due fossili incredibilmente rari di Krusatodon kirtlingtonesis, rinvenuti sull’isola scozzese di Skye, e ha scoperto che, mentre i piccoli mammiferi moderni vivono appena un anno, uno dei primi mammiferi terrestri, il Krusatodon kirtlingtonesis, un mammifero primitivo simile a un toporagno, che viveva nel Giurassico, circa 166 milioni di anni fa, insieme ai dinosauri, poteva vivere 7 anni ed oltre.
    I piccoli mammiferi che vivono attualmente sulla Terra hanno una durata di vita molto più breve dei Krusatodon kirtlingtonesis: alcuni sopravvivono appena 12 mesi e maturano rapidamente, perdendo i denti da latte e venendo svezzati entro pochi mesi dalla nascita. ↩︎
  4. D.A. Hopkins, J.A. Armour, Medullary cells of origin of physiologically identified cardiac nerves in the dog, Brain Res. Bull., 8 (1982). Abstract: Sono state identificate le cellule midollari di origine dei nervi che agiscono fisiologicamente su cuore nel cane.
    In 24 cani su 38 sono stati identificati i singoli nervi cardiaci la cui stimolazione provocava cardioinibizione (bradicardia e inotropismo negativo). Successivamente, 3-25 μl di perossidasi di rafano al 30% (HRP) sono stati iniettati in un nervo cardiaco identificato. Dopo un periodo di sopravvivenza di 3 giorni, il midollo allungato è stato elaborato per l’istochimica HRP. È stato osservato che l’etichettatura retrograda era concentrata principalmente nel nucleo ambiguo (NA) ipsilaterale e nei neuroni di medie dimensioni situati ventrale e laterale rispetto ai neuroni più grandi della colonna cellulare principale della NA. Quest’ultima posizione era così caratteristica che è stata denominata nucleo ambiguo ventrolaterale (VLNA). Neuroni marcati sono stati trovati a tutti i livelli della NA e del VLNA e la loro distribuzione era simile indipendentemente dal nervo cardiaco iniettato. Sono stati osservati relativamente pochi neuroni marcati nel nucleo motore dorsale del nervo vago (DMV), tranne dopo iniezioni nei nervi cardiaci ricorrenti sinistro e destro e nel nervo vago craniale sinistro. In alcuni cani le cellule marcate erano presenti solo nella zona ventrolaterale della NA e non nel DMV, anche se la stimolazione del nervo iniettato provocava sia bradicardia che inotropismo negativo. Questi risultati dimostrano che le regioni ventrolaterali della NA rappresentano la sede principale dei motoneuroni cardioinibitori nel cane e che possono regolare sia la velocità che la forza.  ↩︎
  5. J. Kolacz, E.B. daSilva, G.F. Lewis, B.I.Bertenthal, S.W. Porges, Associations between acoustic features of maternal speech and infants’ emotion regulation following a social stressor, Infancy, 27 (2022), pp. 135-158.
    Abstract. Le voci dei caregiver possono fornire segnali per mobilitare o calmare i neonati. Questo studio ha esaminato se la prosodia materna prevedeva cambiamenti nello stato biocomportamentale dei bambini durante lo Still Face, un fattore di stress in cui la madre ritira e ripristina il suo ingaggio sociale. Allo studio hanno partecipato 94 diadi (età infantile 4-8 mesi). La frequenza cardiaca dei neonati e l’aritmia sinusale respiratoria (misurazione del tono vagale cardiaco) sono state derivate da un elettrocardiogramma (ECG). Il disagio comportamentale dei bambini è stato misurato attraverso vocalizzazioni negative, espressioni facciali e avversione allo sguardo. Le vocalizzazioni delle madri sono state misurate con analisi spettrale e modulazione spettro-temporale utilizzando una trasformazione di Fourier veloce bidimensionale dello spettrogramma audio. Valori elevati del composito della prosodia materna erano associati a diminuzioni della frequenza cardiaca dei neonati
    ( =-.26, IC 95%: [-.46, -.05]) e del disagio comportamentale ( =- .20, IC 95%: [-.38, -.02]), e aumenti del tono vagale cardiaco nei neonati il ​​cui tono vagale era basso durante il fattore di stress (1 DS sotto la media = 0,39, IC 95%: [0,06, 0,73]). L’elevata frequenza cardiaca infantile prevedeva aumenti nel composito della prosodia materna (=0,18, IC 95%: [0,03, 0,33]). Questi risultati suggeriscono specifiche caratteristiche acustiche vocali del linguaggio che sono rilevanti per la regolazione dello stato biocomportamentale dei bambini e dimostrano la dinamica bidirezionale madre-bambino. ↩︎
  6. A. Poli, A. Gemignani, F. Soldani, M. Miccoli, A systematic review of a polyvagal perspective on embodied contemplative practices as promoters of cardiorespiratory coupling and traumatic stress recovery for PTSD and OCD: research methodologies and state of the art, Int. J. Environ. Res. Publ. Health, 18 (22)(2021), p. 11
    Abstract – L’aritmia sinusale respiratoria (RSA) basale è stata proposta come biomarcatore transdiagnostico di vulnerabilità allo stress in tutte le psicopatologie ed è stata trovata un’associazione affidabile tra disturbo da stress post-traumatico, disturbo ossessivo compulsivo e una bassa RSA basale. Le pratiche contemplative sono state collegate all’attivazione del vago e ad un aumento dell’RSA che, secondo la teoria polivagale, riflette l’attivazione del complesso ventrale vagale (VVC) e può promuovere il recupero da PTSD e DOC. I database PubMed e Scopus sono stati selezionati per condurre una ricerca seguendo le linee guida Preferred Reporting Items for Systematic Review and Meta-Analyses (PRISMA) 2020, ed è stato utilizzato A MeaSurement Tool to Assess systematic Reviews-2 (AMSTAR-2) per valutare la qualità metodologica per questa revisione sistematica. Sei articoli soddisfacevano i criteri di inclusione (uno studio trasversale, uno studio con misurazioni pre-post, due studi di coorte e due studi RCT). Gli interventi legati alla consapevolezza (mindfulness) hanno promosso l’attività parasimpatica, un aumento del tono vagale e miglioramenti nei sintomi di disturbo da stress post-traumatico e disturbo ossessivo compulsivo. Secondo la teoria polivagale, le meditazioni legate alla mindfulness e alla compassione sarebbero concettualizzate come esercizi neurali che espandono la capacità del complesso ventrale vagale di regolare lo stato presente e di promuovere la resilienza. Vengono discusse questioni cliniche e metodologiche. ↩︎