Funzione neuroprotettiva delle interazioni sociali positive nel ciclo di vita, mediata dagli oppioidi e dall’ossitocina.

Nell’ambito del crescente interesse, emerso negli ultimi anni, per gli effetti benefici delle interazioni sociali positive sulla salute, il presente lavoro dal titolo Positive Social Interactions in a Lifespan Perspective with a Focus on Opioidergic and Oxytocinergic Systems: Implications for Neuroprotection, mira a rivedere gli studi sugli animali e sugli esseri umani, che collegano le interazioni sociali e la salute durante tutto il corso della vita, con un focus sulle attuali conoscenze del possibile ruolo di mediazione degli oppioidi e dell’ossitocina.

Durante il periodo prenatale, un ambiente sociale positivo contribuisce a regolare la risposta allo stress materno e a proteggere il feto dall’esposizione ai glucocorticoidi attivi materni. Durante lo sviluppo, il contatto sociale positivo con il caregiver agisce come un “regolatore nascosto” e promuove lo sviluppo neuroaffettivo infantile. Gli interventi di neuroprotezione sociale postnatale che coinvolgono il contatto fisico caregiver-neonato sembrano essere cruciali per salvare i neonati prematuri a rischio di disturbi dello sviluppo neurologico. Le figure di attaccamento e le amicizie nell’età adulta continuano ad avere un ruolo protettivo per la salute e il funzionamento del cervello, contrastando l’invecchiamento cerebrale. Negli esseri umani, l’implementazione di pratiche meditative, che promuovono la motivazione compassionevole e il comportamento prosociale, sembra avere effetti benefici per la salute di adolescenti e adulti. Studi su esseri umani e animali suggeriscono che i sistemi ossitocinergico e oppioidergico sono importanti mediatori degli effetti delle interazioni sociali. Tuttavia, la maggior parte degli studi si concentra su una fase specifica della vita (ad esempio, l’età adulta). Studi futuri dovrebbero concentrarsi sul ruolo degli oppioidi e dell’ossitocina nelle interazioni sociali positive adottando una prospettiva life-span, cioè del ciclo di vita.

Le interazioni sociali positive svolgono un ruolo chiave nella neuroprotezione per tutta la vita, promuovendo uno sviluppo neurologico sano e contrastando l’invecchiamento cerebrale in età adulta, proteggendo il cervello negli anziani e facilitando il recupero dopo un insulto cerebrale. Durante il periodo prenatale, un ambiente sociale positivo contribuisce a regolare l’attivazione dell’HPA materno e a proteggere il feto dall’esposizione a livelli elevati di glucocorticoidi materni [40]. D’altro canto, l’esposizione a uno stress psicosociale materno eccessivo durante il periodo prenatale porta a una serie di fattori di rischio per malattie psicologiche e fisiche. I possibili effetti avversi possono essere significativamente ridotti da interventi di neuroprotezione sociale postnatale che coinvolgono il contatto fisico tra il caregiver e il neonato (ad esempio, massoterapia) [86].

I programmi di neuroprotezione implicano l’attivazione dei sistemi ossitocinergici e oppioidergici e determinano lo sviluppo di future capacità di regolazione sociale ed emotiva, probabilmente tramite l’azione sul nervo vago, un biomarcatore integrativo per il funzionamento biologico (ad esempio, disfunzione immunitaria e infiammazione) e psicologico (ad esempio, regolazione delle emozioni) [34].

Durante lo sviluppo, il contatto sociale positivo con il caregiver agisce come un “regolatore nascosto” e promuove lo sviluppo neuroaffettivo infantile. Durante l’infanzia e l’adolescenza, il supporto sociale ha un ruolo importante nell’attenuare la reattività fisiologica agli stress, proteggendo dallo sviluppo di malattie psicopatologiche come la depressione e riducendo la percezione del dolore, anche nei malati di dolore cronico [256].

Le figure di attaccamento e le amicizie in età adulta continuano ad avere un ruolo protettivo per la salute individuale e il funzionamento del cervello al punto che le reti sociali sono fattori chiave che contribuiscono alla riserva cognitiva, ovvero la capacità di tollerare i cambiamenti legati all’età e la patologia correlata alla malattia nel cervello senza sviluppare chiari sintomi o segni clinici (ipotesi della riserva cognitiva)  [257].

È interessante notare che le relazioni positive basate sul supporto sociale possono essere vantaggiose sia per chi riceve che per chi fornisce supporto.

È stato scoperto che la compassione, caratterizzata da sentimenti di cura, apporta benefici alla salute e al benessere a lungo termine [167, 168]. Questi benefici sono probabilmente dovuti all’attivazione del sistema nervoso autonomo parasimpatico e a un aumento associato dell’HRV, che è collegato allo stato emotivo di compassione [169]. Come suggeriscono studi su esseri umani e animali, i sistemi ossitocinergico e oppioidergico sono importanti mediatori degli effetti delle interazioni sociali. La somministrazione di ossitocina modula la motivazione sociale e regola la reattività fisiologica agli stress sia negli esseri umani che negli animali [29, 31]. I risultati degli studi esaminati erano per lo più coerenti.

Tuttavia, devono essere riconosciute diverse avvertenze: (1) la maggior parte degli studi umani riportati sono correlazionali; (2) l’interpretazione dei risultati degli studi incentrati sui livelli di ossitocina nel plasma e nelle urine è controversa perché i livelli di ossitocina periferici non sono sempre associati ai livelli di ossitocina centrale; (3) la maggior parte degli studi si concentra su una fase specifica della vita (ad esempio, l’età adulta); e (4) gli studi sulle differenze di genere nella sensibilità agli oppioidi e all’ossitocina sono scarsi. Studi futuri dovrebbero concentrarsi sul ruolo degli oppioidi e dell’ossitocina nelle interazioni sociali in funzione delle esperienze sociali durante tutta la vita. Insieme a [232], questo lavoro evidenzia la necessità di una prospettiva evolutiva per quanto riguarda il fondamento psicobiologico del supporto sociale. Infatti, anche se esistono prove del ruolo neuroprotettivo del supporto sociale dalla gestazione alla tarda età, non è chiaro se tale ruolo neuroprotettivo vari in funzione dell’età.

Inoltre, è probabile che la valutazione di più marcatori fisiologici di neuroprotezione aumenti la robustezza dei risultati; pertanto, tale valutazione dovrebbe essere l’obiettivo di studi futuri. Ad esempio, nonostante le interrelazioni critiche tra ossitocina e funzionamento vagale, gli studi che valutano entrambi i marcatori sono pochi. Questa è una grave limitazione alla luce dell’affermazione di Quintana et al. [258] secondo cui l’HRV mediato dal vago può fornire un marcatore di risposta al trattamento con ossitocina che potrebbe essere utilizzato per prevedere chi potrebbe rispondere favorevolmente alla somministrazione di ossitocina, il che potrebbe comportare un miglioramento della capacità sociale negli esseri umani.
Con queste cautele in mente, il presente lavoro può informare lo sviluppo di interventi di neuroprotezione ad hoc focalizzati sul supporto sociale per promuovere il benessere, migliorare la resilienza e ridurre la sofferenza psicologica e fisica.

Tra questi, le pratiche che migliorano i sentimenti di compassione, la connessione sociale e gli affetti positivi verso gli altri e se stessi, come la terapia focalizzata sulla compassione [164], dovrebbero essere ulteriormente testate per la loro efficacia nell’influenzare i marcatori di neuroprotezione per tutta la vita. Gli studi che vengono esaminati in questo articolo suggeriscono il coinvolgimento dei sistemi oppioidergico e ossitocinergico nella percezione di sé e degli altri in condizioni di salute [259-261] e nell’insorgenza o persistenza di diversi disturbi. Ad esempio, le alterazioni di questi sistemi possono essere centrali nei disturbi caratterizzati da una compromissione della formazione del legame sociale (ad esempio, ansia sociale e autismo), riconoscimento delle emozioni (ad esempio, alessitimia) e disturbi dell’umore associati all’invecchiamento cerebrale.

Inoltre, la ricerca futura dovrebbe concentrarsi sul fondamento psicobiologico della grande varietà di interventi tecnici disponibili nella scienza clinica e nella pratica psicologica, per promuovere la comprensione dei fattori cruciali coinvolti nell’efficacia della psicoterapia [262]. Date le informazioni limitate disponibili sul coinvolgimento dell’ossitocina [263] e degli oppioidi [264] negli effetti analgesici placebo e dato il ruolo chiave delle interazioni medico-paziente nei risultati terapeutici [265, 266], studi futuri dovrebbero esplorare se e in quale misura i sistemi ossitocinergico e oppioidergico mediano la qualità delle relazioni medico-paziente, con implicazioni associate per gli interventi di neuroprotezione sociale. Inoltre, il ruolo dei sistemi ossitocinergico e oppioidergico nell’espressione della personalità dell’individuo all’interno della famiglia, dei sistemi sociali più ampi e della matrice relazionale dovrebbe essere sistematicamente indagato nella ricerca clinica e nella psicoterapia unificata. L’intervento psicologico può rappresentare una fonte potenziale ed efficace di interazioni positive e neuroprotezione che migliorano la salute e il benessere soggettivo.

Fonte: Positive Social Interactions in a Lifespan Perspective with a Focus on Opioidergic and Oxytocinergic Systems: Implications for Neuroprotection, Curr Neuropharmacol. 2017 May; 15(4): 543–561. Published online 2017 May. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5543675